Delusione
Quando siamo delusi ,di solito, ce ne andiamo, magari senza sapere neanche bene verso dove, ci chiudiamo nel nostro dolore. La delusione è la fine delle speranze che abbiamo nutrito: avevamo aspettative, abbiamo coltivato sogni, ma poi tutto ha preso una piega diversa, le cose non sono andate così come ci aspettavamo. Il segno inequivocabile della delusione è la tristezza, perché nel gioco della vita ci sentiamo perdenti (de–ludere ha a che fare letteralmente con un gioco che viene meno).
Discussioni senza fine
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In questa domenica, la liturgia ci propone un altro di quei cammini, attraverso i quali discepoli imperfetti cercano di arrivare a credere nella risurrezione di Gesù. Sono proprio discepoli delusi: speravano che le cose andassero diversamente, ma davanti ai fatti non ci sono argomenti, tutto sembra finito, Gesù il Nazareno è stato crocifisso, è morto e la pietra tombale è stata rotolata. Per quanto cerchino di darsi una spiegazione non ne escono. Il Vangelo ce li presenta così, mentre conversano e discutono, ma Gesù chiederà loro come mai si stanno buttando addosso (anti-ballein) l’un l’altro quei ragionamenti, come in una conversazione concitata, come quando si litiga, quando cioè lo scopo della discussione è lo sfogo piuttosto che il tentativo di arrivare a una soluzione.
Dove stiamo andando?
Questi due discepoli si stanno allontanando da Gerusalemme, dal luogo della comunità e degli eventi fondamentali della loro vita, per andare verso Emmaus, una meta che rimane imprecisata. Al tempo di Gesù infatti non c’era più un villaggio con questo nome.
Possiamo certamente pensare che andare verso Emmaus significhi tornare indietro, forse è il villaggio da cui provengono, forse il luogo in cui Gesù li ha chiamati, potrebbe essere quindi un tentativo di tornare alla loro vita passata.
Dall’altra parte però è anche vero che nell’Antico Testamento si fa riferimento a un villaggio di nome Emmaus nel Primo libro dei Maccabei 4,8 a proposito della vittoria di Giuda Maccabeo sui pagani. Emmaus evoca quindi un passato glorioso, un luogo in cui Dio, a differenza di quanto è da poco avvenuto a Gerusalemme, si è manifestato come potente e vittorioso.
Tornare a Emmaus vuol dire allora forse tornare a un’immagine di Dio, a cui questi due discepoli sono rimasti legati e a cui non vogliono rinunciare, come quando in una relazione si rimane bloccati a una certa visione dell’altra persona: non ti riconosco più, non eri così! Vorremmo isolare in una relazione solo i momenti belli, gioiosi e consolanti, ma ogni relazione è fatta anche di fallimento, sconforto e conflitto.
Occhi chiusi
I due discepoli sono rimasti intrappolati in quella immagine di Dio soprattutto perché non riescono ad accogliere nella loro visione di Dio lo spazio della sofferenza. Così anche noi a volte non vogliamo vedere aspetti delle altre persone per non rimanere feriti o per non essere costretti a cambiare la nostra idea sugli altri. In questo senso i nostri occhi e quelli dei due discepoli di Emmaus restano chiusi: i due discepoli non vedono, perché sono accecati dalla loro tristezza, così anche noi non riusciamo a vedere quello che sta avvenendo nella nostra vita perché delusi e scoraggiati, ci lasciamo prendere dalla tristezza e dalla rabbia e non vediamo più nulla, neppure le cose positive e belle che ci possono essere nel nostro presente.
Scelte affrettate
I due discepoli infatti non riescono a vedere che il Signore sta camminando accanto a loro proprio in un momento della vita in cui si sentono particolarmente scoraggiati. Del resto il loro discernimento non è durato a lungo: dopo solo tre giorni hanno deciso che era tutto finito e se ne sono andati. Così come in una relazione non ci si è dato il tempo per verificare, ripensare, capire, ma presi dall’onda dell’emozione si sceglie di andarsene e farla finita.
Cambiare lo sguardo
Anche con loro, anche con noi, Gesù si mette con pazienza a camminare accanto, cercando di aprire i nostri occhi. Questo del resto è il senso del cammino spirituale: Dio vuole aprirci gli occhi. Ed è questo il senso che, anche attraverso la struttura retorica, Luca cerca di dare a questo brano che si trova racchiuso dentro una grande inclusione, rappresentata proprio dallo sguardo: all’inizio gli occhi di questi discepoli non riescono a vedere Dio nella loro vita, alla fine, grazie a quel cammino insieme a Gesù, i loro occhi si aprono.
La parola spiegata
Questo cammino si compie attraverso l’ascolto della Parola: Gesù si mette accanto ai discepoli e spiega loro le Scritture, le interpreta, e li aiuta a vedere che c’è spazio anche per la sofferenza e la debolezza nell’immagine di Dio, un’immagine che deve essere convertita.
Come se fosse un album di famiglia, Gesù apre la Scrittura e fa vedere una storia d’amore, lungo la quale Dio ha camminato con il suo popolo. Proprio come avviene quando ripensiamo a una storia d’amore, il cuore dei due discepoli comincia a scaldarsi, si accende, si scioglie, avverte la presenza di Dio.
Il pane spezzato
Come sempre però arrivano i momenti in cui, nella nostra vita, si fa sera, i momenti di buio, di declino, i momenti di difficoltà nei quali ci sentiamo soli. I due discepoli trasformano in preghiera quel senso di abbandono e chiedono allo straniero, con cui hanno camminato, di fermarsi con loro, perché si fa sera.
Il loro cuore è ormai preparato all’incontro e nel gesto del pane spezzato, i discepoli riconoscono Gesù. È un gesto per loro familiare, è il gesto nel quale si sono sentiti amati. Ora i loro occhi si aprono, finalmente vedono come stanno le cose, Dio non li ha mai abbandonati, ma ha camminato con loro anche quando hanno pensato di essere stati delusi e traditi. Gesù però scompare dalla loro vista.
I segni che ci bastano
Di fatti questi discepoli non vedono mai Gesù, perché egli era con loro quando i loro occhi non riuscivano a vederlo e scompare quando i loro occhi sono finalmente aperti. Hanno visto però dei segni: il segno della parola spiegata e il segno del pane spezzato. Sono i segni dell’amore e della presenza. Sono i segni nei quali, per sempre, possono sentire la presenza di Dio accanto a loro. Ci sono dei segni nei quali anche noi possiamo avvertire la presenza di chi ci ama e ci sono dei segni nei quali possiamo sperimentare per sempre la presenza di Dio nella nostra vita.
Ritornare
Non abbiamo più bisogno di fuggire, possiamo tornare nel luogo dell’amore e della condivisione. I due discepoli si convertono, tornano indietro, cambiano direzione. Tornano a Gerusalemme, nel luogo della comunità, per diventare testimoni e annunciatori di quello che hanno sperimentato.
Anch’io su quella strada
Il testo di Luca ci ha riferito il nome di uno solo dei due discepoli, Cleopa. Alcuni ritengono che sia una sorta di silenzio retorico, un silenzio da buone maniere, perché forse l’altro discepolo era proprio l’autore che, per pudore, non avrebbe voluto inserire il suo nome. D’altra parte però l’assenza del nome di uno dei discepoli permette a ciascuno di noi di mettersi al posto di quel discepolo: su quella strada da Gerusalemme a Emmaus ci sono io, con la mia delusione, le mie idee rigide, la mia rabbia. E su quella strada, Gesù mi raggiunge per aprire i miei occhi. Questo è il nostro cammino spirituale.
Abbonamenti
Del resto, una volta arrivati a Gerusalemme, i due discepoli avranno vissuto altri momenti di delusione e forse si saranno allontanati ancora dalla comunità, forse avranno provato di nuovo a tornare a Emmaus, ma Gesù lì avrà raggiunti ancora e avrà parlato al loro cuore.
Ecco, anche noi siamo così, sempre in cammino su quella strada, perché anche noi abbiamo una sorta di abbonamento spirituale sulla tratta Gerusalemme-Emmaus-Gerusalemme! Siamo viandanti, a volte pellegrini, a volte fuggiaschi, ma sempre il Signore ci raggiunge e ci fa sentire la sua presenza.
Leggersi dentro
- Come affronto i momenti di delusione nella mia vita?
- Se la mia vita spirituale fosse come la strada da Gerusalemme a Emmaus, dove sarei in questo momento?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
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