Il rischio della relazione
In una relazione ci si gioca, occorre viverla, bisogna buttarsi. Fin quando rimaniamo a fare congetture, a cullare delle ipotesi, non vivremo mai quella relazione, non sapremmo mai come sarebbe andata. È la dinamica dell’amore, che chiede sempre un rischio. La parola dell’altro è una promessa: ogni relazione all’inizio è una promessa. E ciascuno si impegna di fatto a realizzarla con la vita.
Così è anche con Dio, c’è una relazione e c’è una promessa. Possiamo fare tutte le teorie che vogliamo, possiamo proporre tutte le norme, i criteri, le regole che vogliamo, ma faremo esperienza di Dio solo quando accetteremo di rischiare e di buttarci nell’amore. Forse anche come Chiesa siamo chiamati a ripetere quel gesto che sta all’inizio del Vangelo: un parola che chiama a camminare insieme!
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La profezia che si compie
Nel passo del Vangelo di Matteo che la liturgia ci propone in questa domenica, c’è anzitutto il compimento di una promessa: in Cristo, Dio dimostra che ha mantenuto la parola. La profezia di Isaia si compie in Gesù. Quell’oracolo (Is 8,23b-9,6) fa parte del cosiddetto libretto dell’Emmanuele (sono i capitoli 7-11 di Isaia). Nelle sofferenze che il Regno di Giuda sta attraversando, a causa della minaccia dell’Impero assiro, Dio invita ad avere speranza, non perché quelle sofferenze non ci saranno, ma perché Egli promette di attraversarle insieme a noi: è l’Emmanuele, il Dio con noi.
Egli è come la luce che entra nelle tenebre della nostra vita, quella luce che ci permette di riconoscere e dare un nome a quello che ci ha fatto male (il giogo, la sbarra, il bastone). La profezia non fa però riferimento a chi ha usato quegli strumenti. Dio infatti ci libera non per trasformaci in aguzzini, non c’è uno scambio tra persecutori e perseguitati, non c’è una vendetta da compiere.
Cambiare modo di pensare
In una relazione, lo sappiamo bene, bisogna accogliersi reciprocamente: Dio mi dice una parola di tenerezza, è con me, ma oggi Cristo ci dice come io posso essere con lui!
Il primo passo è convertirci, cambiare, anzi, più precisamente, cambiare il nostro modo di pensare. Sappiamo bene infatti che se continuiamo a ragionare mettendo al centro noi stessi, nella convinzione che l’unico modo giusto di guardare le cose sia il nostro, non arriveremo mai ad accogliere l’altro nella nostra vita. Metanoeite, allora, cambiate modo di pensare! Non essere diffidente, ma buttati e lascia entrare Dio nella tua vita.
In qualunque momento della vita
Gesù ci chiama a stare con lui qualunque sia il momento della nostra vita, qualunque sia la situazione che stiamo vivendo. Matteo ci presenta infatti Gesù che chiama i suoi discepoli mentre cammina lungo il mare. Le acque, il lago, il mare sono immagini che richiamano la morte, il pericolo, le situazioni della vita che possono travolgerci. Chiama Pietro e Andrea, mentre stanno pescando, quindi presumibilmente di sera, li chiama dalla riva, non si sono allontanati troppo, non hanno preso il largo. Il Signore ci chiama in un’ordinarietà, nella quale forse non stiamo osando tanto, una quotidianità nella quale siamo rimasti in superficie.
Poi però Gesù chiama anche Giovanni e Giacomo mentre stanno sistemando le reti, quindi presumibilmente di giorno. Sono persone che cercano di aggiustare, come meglio possono, quello che si è rotto. Potrebbe essere un’immagine delle nostre relazioni o delle situazioni della nostra vita che non abbiamo mai il coraggio di mettere definitivamente da parte, e ci ritorniamo sopra cercando di rammendarle. Gesù li invita a lasciare quelle reti, perché forse si può cominciare a vivere qualcosa di diverso.
È chiaro quindi che Gesù è rimasto sulla riva del lago dalla sera al mattino: nella notte dell’umanità non ha mai smesso di continuare a chiamarci per seguirlo, per trasformare la vita. È arrivato come la luce nelle nostre tenebre. Tra quella sera e quella mattina, in quella notte, ci sono tutte le nostre vicende, tutti i momenti della nostra vita, nei quali Gesù fa risuonare la sua voce.
Diventare fratelli
Non è irrilevante che all’inizio del Vangelo, Gesù abbia chiamato prima di tutto coppie di fratelli. Anche all’inizio della Bibbia, nella Genesi, si parlava spesso di fratelli, ma quasi sempre erano fratelli che non riuscivano a stare insieme, fratelli che si ammazzano, che si vendono, fratelli che ingannano… questa è l’umanità, è la fatica di diventare fratelli.
La Parola di Gesù è dunque una parola che guarisce innanzitutto le relazioni. Non solo le guarisce, ma fa delle relazioni, della fratellanza, il luogo dell’annuncio. I discepoli di Gesù si faranno riconoscere prima di tutto da come vivono insieme, da come si perdonano, da come si rispettano e si vogliono bene, perché, come diceva san Francesco ai suoi frati, dobbiamo annunciare il Vangelo prima di tutto con la vita, poi, se serve, anche con la parola. La prima parola evangelica è la nostra vita! Anche Paolo, nel passo della Prima lettera ai Corinzi che ascoltiamo in questa domenica è preoccupato delle discordie che ci sono tra i primi cristiani: a cosa serve predicare il Vangelo se poi siamo divisi tra noi?
Camminare stando dietro
Se vogliamo trasformare la nostra vita, se vogliamo portare il Vangelo piuttosto che noi stessi, allora ci dobbiamo mettere dietro al maestro. Questa è la preposizione del discepolo, questo è l’atteggiamento che cambia la nostra vita. Il discepolo si mette dietro al maestro perché solo in questo modo può vedere e imparare dove si inoltra il maestro e solo così può imparare lo stile del maestro. Altrimenti percorriamo strade nostre dove non necessariamente impariamo lo stile di Cristo. Per imparare dal maestro bisogna camminare a lungo dietro a lui. Un giorno poi saremo capaci di rispondere a questa domanda: in questa situazione della vita, Cristo dove metterebbe i suoi piedi?
Presente e futuro
Il Signore vuole valorizzare la nostra vita, non distruggerla. Per questo ai primi discepoli propone di diventare pescatori di uomini. Espressione enigmatica, difficile da capire all’inizio di quell’esperienza. Ma a ben guardare in quell’invito c’è qualcosa che è già presente e qualcosa di nuovo: i primi discepoli sono già pescatori, quella è la loro identità, e Gesù non vuole cancellarla, non dice che non vanno bene così come sono. Gesù aggiunge però qualcosa di nuovo alla loro vita: vuole valorizzare quello che sono, mettendo la loro vita a servizio del Regno. Questo è il cuore di ogni vocazione: il Signore ci chiama non per sacrificare o negare quello che siamo, ma per farlo fiorire, piantando la nostra vita nel giardino del suo Regno.
Urgenza e libertà
Quando ci si trova davanti a una parola che interpella, quando intuiamo che si apre davanti a noi una strada di libertà, ci rendiamo conto dell’urgenza: i discepoli lasciarono subito le reti! Forse non per loro capacità, ma per la potenza della parola di Gesù. Per trasformare la propria vita, bisogna però lasciar andare quello che ce lo impedisce: le reti da strumento di sopravvivenza erano forse diventate quello che irretisce, quello che impedisce di camminare. I discepoli devono lasciare le reti per seguire Gesù. E così finalmente possono cominciare a vivere una vita nuova, ma soprattutto una vita piena.
Leggersi dentro
- Che cosa ti impedisce oggi di seguire pienamente il Signore?
- Il modo in cui vivi ti aiuta ad annunciare il Vangelo?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte