Reti
Nelle reti si può rimanere impigliati. Quella rete che serve a prendere e raccogliere può anche diventare a volte il luogo in cui rimaniamo intrappolati, come ci ricorda la statua del Disinganno nella Cappella di Sansevero a Napoli, meglio conosciuta per il Cristo velato. È la rete, oggi, anche del virtuale, dove ci perdiamo in mezzo a giudizi, condanne, critiche, ma è anche la rete dei nostri capricci e delle nostre abitudini. Ai piedi della statua del Disinganno c’è una Bibbia aperta e oggi, nella domenica della Parola, possiamo raccogliere questo messaggio: solo il Vangelo ci libera dalle reti dentro cui siamo finiti! Forse è proprio questa la conversione a cui le letture ci rimandano.
Cambiare
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Giona per esempio rimane intrappolato fino alla fine nei suoi schemi e nei suoi capricci: non crede alla misericordia di Dio, soprattutto non crede che i Niniviti si possano convertire o che meritino il perdono di Dio. Giona non discute, semplicemente volta le spalle. È un profeta paradossale, perché non accoglie l’invito di Dio a portare l’annuncio. Rimane intrappolato nelle sue paure e fugge il più lontano possibile. Il Signore lo raccoglie dalle acque di morte in cui si è fatto gettare, ma neanche questa esperienza sarà sufficiente per cambiare la sua prospettiva. Dio lo invita ad alzarsi: usa, all’inizio del terzo capitolo, la stessa espressione che aveva pronunciato all’inizio del libro. È un chiaro invito a ricominciare. In questo racconto tutti sono disposti a cambiare: Dio cambia il suo proposito, i Niniviti cambiano la loro vita, ma l’unico che fino alla fine non cambia è proprio Giona!
Liberazione
La liberazione dalle nostre reti è un cambiamento, in particolare un cambiamento nel nostro modo di pensare, come ricorda letteralmente il termine greco metanoia usato nel Vangelo. Questo cambiamento è urgente, perché il tempo è compiuto, la liberazione è a portata di mano, il Regno di Dio si è fatto vicino, Cristo è qui, è in lui che possiamo essere liberati. La Parola di Dio ci libera dalla nostra cattiveria, ci libera dalla sfiducia e dalla disperazione, ci libera dal senso di colpa e dalla paura di non farcela.
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Il mare e la morte
Cambiare vuol dire lasciarsi incontrare, perché il Signore si fa vicino, viene nelle nostre situazioni di morte. L’immagine del mare, che nel libro di Giona rappresenta la morte in cui il profeta si butta, ritorna anche nel Vangelo: Gesù va verso il mare per invitare a intraprendere questo cammino di liberazione, viene nelle nostre situazioni di morte, viene a strapparci da quelle reti nelle quali siamo rimasti impigliati. Ci chiama nella nostra quotidianità: anche i primi discepoli, come altri personaggi della Bibbia, sono chiamati mentre si stanno dedicando alle loro attività ordinarie.
Abitudine rassicurante
Simone e Andrea stanno gettando le reti. È un’operazione che viene fatta solitamente la sera. Inizia così una notte di lavoro. Si tratta di un modo di pescare che permette di rimanere abbastanza vicini alla riva, senza prendere veramente il largo. Forse proprio questo permette a Gesù di chiamarli dalla riva. Simone e Andrea sono allora anche l’immagine di chi vive la propria vita facendo quello che deve fare senza mai rischiare veramente, rimanendo in un’abitudinarietà rassicurante.
Rattoppi
Giacomo e Giovanni invece stanno sistemando le reti, un’operazione che conclude il lavoro e che viene fatta perciò quando è ormai l’alba. Questo ci fa capire che probabilmente Gesù è rimasto sulla riva lungo tutta la notte, dall’inizio alla fine, non ha mai smesso di chiamare tutti coloro che nella notte stanno vivendo l’ordinarietà della loro vita. Giacomo e Giovanni stanno riparando ciò che si è rotto, non si decidono a buttare via ciò che è ormai usurato e che forse andrebbe cambiato. Sono l’immagine di chi continua a mettere toppe su quello che non funziona più.
Lasciare
Cambiare vuol dire molte volte lasciare! Gesù invita i primi discepoli a lasciare qualcosa che non è cattivo, ma che non permette loro di vivere pienamente la loro vita. Gesù incontra probabilmente anche un loro desiderio: questi uomini lasciano subito le loro barche, le reti, perfino il padre! C’era un’urgenza nel loro cuore, un’urgenza che avvertivano, ma a cui forse non erano in grado di dare un nome.
Seguire
Gesù li invita a mettersi dietro di lui: questa è la sequela. Si cammina dietro al maestro, perché solo così è possibile imparare il suo stile, solo così si vede dove il maestro mette i piedi, solo così si intraprendono strade che forse non avremmo mai scelto di percorrere. Chi si mette davanti a Gesù fa progetti autonomi e personali, sperando poi che il Signore ci entri dentro e li benedica. Ma questa non è la sequela!
Valorizzare
Il Signore chiama questi primi discepoli a diventare pescatori di uomini. È molto probabile che questa espressione sarà suonata incomprensibile, ma nel contempo familiare: loro sono pescatori e tali resteranno. Il Signore infatti, quando ci chiama, non vuole distruggere la nostra identità, non ci sta dicendo che non andiamo bene così come siamo. Vuole piuttosto farci diventare pescatori di uomini, cioè mettere quello che siamo a servizio del Regno, non per distruggere quello che siamo, ma per valorizzarlo. Seguire Gesù, pertanto, a differenza di tanti racconti vocazionali strappalacrime, non è una perdita, ma è un guadagno, è un vantaggio non una sventura che abbiamo accolto con senso di sacrificio. Forse è anche la bellezza di questa sequela che dovremmo ricominciare ad annunciare!
Leggersi dentro
- Da quali situazioni, in cui sei rimasto impigliato, il Signore vuole aiutarti a uscire?
- In che modo stai vivendo la tua sequela dietro a Cristo?
Per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte