Sono deluso, ma rimango! Credere nel tempo della prova
Credere nelle prova
Se credere che Dio opera nella storia dell’umanità è già di per sé difficile, lo è ancora di più nel tempo della prova. Quando intorno a noi si perpetua l’ingiustizia, quando i cattivi prosperano e trionfano, quando i miti e i buoni sono messi da parte, è normale chiedersi dove sia Dio, perché non intervenga, come mai la storia vada in questa direzione. Colui che quotidianamente cerca di credere, in queste circostanze vacilla. E a volte questo tempo oscuro dura a lungo, non sembra finire, e la tentazione ci induce a pensare che questa notte non finirà mai. È il tempo della passione, quello nel quale, come dice sant’Ignazio negli Esercizi spirituali, «la divinità si nasconde», Dio cioè non è evidente con la sua gloria e la sua potenza nella realtà degli uomini.
Attendere con fede
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È il tempo nel quale non dobbiamo vergognarci di affrontare Dio, proprio come fa il profeta Abacuc, che rivolge questo interrogativo al Signore: «Perché resti spettatore dell’oppressione?» (Abac 1,3). Abacuc chiede conto a Dio del perché del male, perché il popolo deve subire l’umiliazione di essere sottomesso proprio dai Caldei. È vero, dice Abacuc, Giuda ha peccato, ma perché deve essere sopraffatto da chi è ancora più peccatore, perché Dio sceglie proprio i Caldei per punire Giuda?
Dio interviene nella storia in maniera paradossale, imprevedibile e misteriosa. Risponde al profeta, invitandolo all’attesa della vittoria finale, non fa riferimento a un tempo, perché è proprio in quell’attesa che il giusto rivela la sua fede, quella stessa fede, cioè quella capacità di attendere, che diventa l’occasione della sua salvezza: «il giusto vivrà per la sua fede» (Abac 2,4), espressione che sarà centrale nella teologia paolina e ritornerà in diversi passi (Rm 1,17; Eb 10,38; Col 3,11).
Una storia antica
La storia d’Israele è il racconto di un cammino per arrivare a credere. Nel viaggio lungo il deserto ci sono molte occasioni di prova, momenti in cui Israele si sente perso, ha paura di non farcela, ci sono momenti in cui si sente sopraffatto dalla fatica e ha paura che Dio lo abbia abbandonato. Il Salmo 94 ricorda uno di questi momenti: il popolo mormora contro Dio per la mancanza d’acqua a Massa e Meriba (cf Es 17). In quei momenti di prova anche noi dimentichiamo chi è Dio, il suo volto viene distorto dalla nostra sofferenza e non riconosciamo più in lui il pastore che guida il suo gregge.
Reagire nella prova
Cosa fare nel tempo della prova, quando la fede sembra venire meno? La seconda lettera a Timoteo ci rimanda proprio a un momento di prova per Paolo: egli è in carcere. È un momento di prova per l’intera comunità, rimasta non solo senza guida, ma che vede in prospettiva un futuro oscuro. È probabile che in quelle circostanze alcuni nella comunità siano tornati indietro e altri forse saranno stati tentati di farlo: se Paolo è in carcere, se Paolo morirà, se resteremo senza guida, vuol dire che Dio non è onnipotente, vuol dire che Dio ci ha abbandonato, non vale la pena continuare a credere. Sono pensieri che attraversano anche la comunità oggi, quando le cose non vanno come ci aspettavamo, quando siamo delusi da coloro che dovrebbero guidarci, quando a vincere sembrano sempre i peggiori. Eppure Paolo, proprio dal carcere, invita a ravvivare il dono che abbiamo ricevuto, il dono dello Spirito, il bene che ci è stato affidato, cioè il messaggio che Cristo è morto per noi e non ci abbandonerà mai.
Il rapporto con Dio
È probabilmente proprio in un contesto di crisi della prima comunità cristiana, quando non sembra più che valga la pena continuare a credere, che Luca ricorda quella richiesta che i discepoli rivolgono a Gesù: «accresci la nostra fede» (Lc 17,6). Accresci, Signore, la nostra fede quando ci viene voglia di mollare, quando non riusciamo più a sperare, quando i violenti sembrano vincere sempre, quando Tu sembri assente…
È allora, nel tempo della prova, che scopriamo quale rapporto abbiamo con Dio: ci rendiamo conto infatti se siamo capricciosi, come bambini che non vedono altro che il loro bisogno immediato, ci accorgiamo se siamo adolescenti che avanzano pretese, convinti che a noi sia dovuto tutto e subito, ci accorgiamo se siamo rassegnati, come persone deluse che non si aspettano più niente!
La relazione vera con Dio è invece quella che sa di inutilità: siamo servi inutili! Siamo servi, cioè non padroni di quello che disponiamo, ma siamo addirittura inutili, cioè non serviamo a niente se non è Dio che ci impiega nella maniera più opportuna. Avremo compreso il senso della relazione con Dio quando saremo arrivati a metterci semplicemente a sua disposizione, quando ci saremo messi con disponibilità nelle sue mani: Signore, so che tu farai…non pretendo, non mi rassegno, ma umilmente mi fido di te! Forse è questo il granello di senape che ci permette di spostare le montagne!
La crisi della responsabilità
I termini usati da Gesù ci fanno pensare a un discorso rivolto alla comunità, probabilmente scossa e tormentata da questa incapacità di fidarsi del Signore nel tempo della prova. Il termine ‘servo’ rimanda proprio all’attività ministeriale delle varie figure che cominciavano a costituire l’impalcatura istituzionale della prima comunità.
Il servo che è impegnato ad arare rimanda infatti all’immagine dell’evangelizzazione, di colui che è impegnato a gettare il seme della parola, così come il servo che pascola il gregge richiama la figura di colui che ha il compito di governare la comunità. Tutto questo ci fa pensare che probabilmente la mancanza di fede serpeggiava tra i capi stessi della comunità, creando smarrimento e delusione. Al contrario, coloro che hanno ruoli di responsabilità dovrebbero dare l’esempio, riconoscendo l’inutilità/gratuità del proprio ministero e mettendosi con umiltà nelle mani di Dio.
Leggersi dentro
- Quale immagine del tuo rapporto con Dio è emersa nel tempo della prova?
- Come stai cercando di ravvivare il dono che Dio ha messo in te?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte