Entrare in un progetto
Nel 1539 un gruppo di amici che avevano condiviso l’amore per Gesù e il desiderio di mettersi a servizio del Regno di Dio, si chiesero se dovessero rimanere insieme come gruppo o se ciascuno dovesse andare per suo conto in qualche parte del mondo per portare il Vangelo. Erano i primi compagni riuniti intorno alla figura di Ignazio di Loyola. Alla fine, in seguito a un discernimento di cui abbiamo una memoria nella Deliberazione dei primi compagni, decisero di rimanere insieme e di chiedere l’autorizzazione del Papa per fondare la Compagnia di Gesù.
Ciò che avvenne per questi uomini rappresenta una dinamica che forse troppo spesso viene meno oggi a diversi livelli, l’importanza cioè di chiedersi chi siamo e cosa vogliamo fare. Sono interrogativi che valgono non solo per la Chiesa o per le comunità religiose, che comunque fanno fatica anch’esse a rispondere a queste domande, ma valgono anche per i cammini di coppia e persino per le realtà politiche. Rischiamo così di vivere nell’anonimato, di non riuscire mai a comprendere quale sia il progetto che vogliamo realizzare.
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Diventare popolo
Le letture di questa domenica descrivono, sia attraverso il racconto del libro dell’Esodo sia attraverso il Vangelo di Matteo, un itinerario che porta da una molteplicità sparsa ed eterogenea a diventare un popolo, una comunità, la Chiesa.
Mosè accompagna un insieme di tribù, che cominciano a percorre insieme la storia proprio facendo la stessa strada, ma diventano popolo solo quando Dio li riconosce come la sua proprietà, li fa emergere dalla molteplicità eterogenea delle genti, dà loro un’identità nel momento in cui li prende per sé, li consacra, cioè li separa da tutti gli altri, come un’immagine che diventa nitida emergendo da uno sfondo. Diventano un regno di sacerdoti, una nazione santa, separata appunto da tutto il resto.
Assumere un impegno
Un insieme di tribù diventa popolo quando insieme convengono in un’alleanza, accettano cioè di condividere degli impegni. Forse è proprio questo che oggi impedisce spesso di acquisire un’identità definita: non vogliamo impegnarci, non vogliamo comprometterci, speriamo sempre in una nuova occasione, non vogliamo responsabilità definitive, cerchiamo di sottrarci a ogni decisione che ci possa inquadrare per sempre. Ma rifiutando di impegnarci, togliamo anche a noi stessi la possibilità di diventare qualcuno. Restiamo anonimi! Riconoscendo che il Signore è Dio, Israele diventa popolo e gregge del suo pascolo (cf Sal 99,3).
Possiamo rimanere folla anonima o diventare un popolo. Di solito la folla anonima è caratterizzata dalla mancanza di motivazione: quando non sappiamo chi siamo, difficilmente possiamo fare progetti. Molte volte questo è il problema che blocca non solo le congregazioni religiose, ma anche le comunità parrocchiali quanto persino i cammini di coppia.
Chiamati per nome
Gesù, nel Vangelo di Matteo, ha compassione per questa gente che non si riconosce. È gente stanca e sfinita, forse proprio perché demotivata. Vagano, perché non sanno dove andare, e così ci si sente perduti e inutili. Gesù trasforma questa massa anonima in un popolo attraverso due gesti: chiama le persone per nome, affida loro un compito.
Chiamare per nome vuol dire riconoscere chi mi sta davanti, tirarlo fuori dall’anonimato della folla: sei qualcuno e soprattutto sei qualcuno per me. Come da tribù molteplici era venuto fuori il popolo d’Israele, così da questa folla stanca, Gesù tira fuori la comunità dei discepoli.
Non siamo i migliori
Il nome di ciascuno di loro dice una storia, un passato, delle caratteristiche. Dai nomi possiamo intuire che sono persone molto diverse tra loro, ma che in qualche modo sono chiamate a stare insieme, perché sono unite dal compito che è loro affidato. Sappiamo che non sono perfetti, anzi faranno molti errori, fino a tradire il maestro. Non sono neppure i migliori, anzi sono persone difficili e con molti difetti, eppure a loro è affidata una missione.
Dio infatti ci rende migliori invitandoci a seguirlo, ma non ci invita perché siamo i migliori, anzi forse siamo quelli che hanno più bisogno di stare attaccati al pastore per evitare di perdersi. San Paolo ce lo ricorda questa domenica con un’espressione molto forte: «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Mentre eravamo ancora peccatori…vuol dire che non abbiamo meritato la sua salvezza, ma ci è stata donata, proprio quando avremmo meritato di essere condannati. Cristo non ha aspettato la nostra conversione prima di morire per noi! Questo è l’amore: riuscire a voler bene all’altro gratuitamente, non perché se lo merita.
La missione
L’altro passaggio attraverso il quale Gesù trasforma la folla in un popolo è il compito che affida, la missione. C’è un compito per questi discepoli chiamati per nome. La nostra vita acquista senso nel momento in cui riconosciamo quale sia il compito che Dio ci affida oggi. Una vita senza compito è una vita che ci appare inutile e senza senso. Ma non c’è nessuno a cui Dio non affidi ogni giorno un impegno. Predicare, guarire, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni…a ben guardare sono le cose che farà Gesù!
La missione allora è quella di continuare a portare Gesù tra la gente, ripetere la sua parola e i suoi gesti. Ciascuno è chiamato a incarnare nella realtà di oggi ciò che Gesù avrebbe fatto. Possiamo dire una parola buona che dia consolazione, possiamo guarire le persone dai pensieri negativi di tristezza e di rabbia, possiamo aiutare gli sconfortati a ritrovare vita, possiamo aiutare le persone a rimettere insieme i pezzi cadenti della loro vita, possiamo allontanare il male con la preghiera e il perdono.
La vita diventa così restituzione, riconsegna di quello che gratuitamente, cioè immeritatamente, abbiamo ricevuto: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7). Se entriamo in questa dinamica dell’amore, troveremo certamente il senso della nostra vita.
Leggersi dentro
- Qual è il compito che oggi il Signore ti sta affidando?
- In che modo puoi provare a restituire quello che hai ricevuto?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte