Il coraggio degli sposi
Il famoso sociologo Zygmunt Bauman scriveva che «sposarsi è diventato oggi come imbarcarsi su una zattera fatta di carta di zucchero». Si tratta effettivamente di una scelta molto coraggiosa, perché significa accettare un rischio. Sposarsi vuol dire giocarsi la vita sulla parola di un altro, un altro che può cambiare, che può tradire, che può morire o decidere di andarsene. Si tratta di una rinuncia all’integrità del proprio spazio, lasciando che un altro ti espropri continuamente dalle tue ragioni. La vita coniugale è un continuo essere tirati fuori dalla tentazione di pensare solo a se stessi. C’è sempre un altro che ti ricorda continuamente che non ci sei solo tu.
Solo se abbiamo in mente la radicalità del dono che c’è in una relazione coniugale, possiamo comprendere perché Dio si presenti costantemente nella Bibbia come sposo di Israele e sposo dell’umanità.
L’immagine del matrimonio è infatti la metafora più utilizzata nella Scrittura per descrivere l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Anche il testo di Giovanni 2,1-11 sembra rimandare a questa relazione, sia per il riferimento temporale al “terzo giorno”, che negli ambienti rabbinici era diventato sinonimo di “giorno dell’Alleanza”, in virtù di quanto dice anche Osea 6,2 («Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza»), sia per le parole rivolte da Maria ai servi, parole che richiamano la risposta del popolo a Mosè in Es 19,8 («quanto il Signore dirà, noi lo faremo»).
Diventare familiari
Il brano delle nozze di Cana apre una serie di immagini matrimoniali che percorrono i primi capitoli del Vangelo di Giovanni: in Gv 3,29 il Battista si definirà come «l’amico dello sposo» e in Gv 4 la Samaritana confesserà la sua inquieta ricerca di uno sposo vero.
La pericope di Gv 2,1-11 ci introduce dunque in un terzo giorno, ma seguendo la scansione delle giornate proposta di volta in volta da Giovanni, ci accorgiamo che siamo giunti al settimo giorno ovvero al termine della ‘settimana tipo’ di Gesù che Giovanni ci sta raccontando (Gv 1,29 «il giorno dopo…»; Gv 1,35 «Il giorno dopo…»; Gv 1,43 «Il giorno dopo…»; Gv 2,1 «Tre giorni dopo…»). Probabilmente Giovanni vuole invitarci così a diventare familiari di Gesù, a conoscerlo meglio. Ed ecco perché, proprio alla fine di quella settimana, durante la quale abbiamo camminato con lui giorno dopo giorno, egli si rivela, si fa conoscere come lo sposo: il maestro di tavola chiama lo sposo per complimentarsi del vino nuovo. Lo sposo, dunque, è colui che dona il vino migliore e il lettore di questo testo sa da dove viene quel vino nuovo.
Consapevoli di quello che ci manca
Il testo delle nozze di Cana narra il primo dei segni nel Vangelo di Giovanni. Si tratta di segni perché siamo di fronte a degli indizi rivelativi che suscitano in noi la domanda su chi è Gesù. Giovanni, nel suo Vangelo, fa emergere l’identità di Gesù a partire dalle situazioni delle persone che lo incontrano. Molto spesso, come in questo caso, sono situazioni di mancanza. C’è qualcosa che manca, un desiderio sopito, una ricerca vacillante.
Nel primo capitolo di Giovanni, Gesù risponde a un desiderio ingenuo e incipiente dei primi discepoli: che cercate? Più avanti la Samaritana confessa il suo desiderio di essere amata: le manca un amore vero. In questo secondo capitolo, invece, questa coppia – come tante coppie – manca di quello che è necessario per fare festa. Non hanno più vino. Il vino non sta finendo, proprio non ce n’è più. Sembra di rivedere quegli sposi che vivono momenti di aridità, che non sanno più cosa dirsi e non riescono neanche a chiedere aiuto.
Alcuni esegeti hanno interpretato questa mancanza di vino come un’allusione alla povertà della coppia. È possibile, ma possiamo anche pensare che il vino sia finito perché gli sposi hanno invitato troppi ospiti alla festa della loro vita. A volte infatti le risorse finiscono perché si è stati particolarmente generosi. Si dona tutto e si rimane senza niente, ma quel vuoto diventa l’occasione per ricevere un dono ancora più grande. Chi trattiene il vino per sé non si predispone a ricevere da Dio un vino di qualità migliore.
Lo sguardo di Maria è quello di una donna che sa riconoscere ciò di cui c’è bisogno. Nel Vangelo di Giovanni, Maria è presente solo all’inizio e alla fine del Vangelo, come per dire che lei è ovunque, sempre attenta ai bisogni dei suoi figli, sempre disponibile e pronta a chiedere a suo Figlio di entrare e cambiare la nostra vita. Maria dice solo una cosa nel Vangelo di Giovanni e forse è quella più importante: fate quello che Gesù vi dirà! È la cosa più importante, ma non è la più facile, soprattutto quando ci viene chiesto di riempire d’acqua le anfore mentre ci manca il vino. A volte quello che il Signore ci chiede è davvero incomprensibile!
Anfore vuote come i nostri cuori
Non sempre però siamo disposti ad accogliere l’opera di Dio nella nostra storia. Molte volte siamo vuoti e duri come le anfore di pietra di cui parla il testo del Vangelo. Quelle anfore erano lì per le abluzioni rituali, ma sono ormai vuote: quel modo legalistico di vivere la religiosità non porta frutto. Il cuore si inaridisce. Si tratta di sei anfore come sei saranno gli uomini di cui parlerà la Samaritana, sei come l’incompletezza che il Signore viene a colmare. Alcuni Padri infatti vedono in queste sei anfore un rimando a una settima anfora: il costato di Cristo crocifisso da cui sgorgano sangue e acqua, così come il settimo e vero sposo per la Samaritana è Gesù che le parla.
Gesù entra nei diversi tempi della nostra vita
L’esperienza della mancanza di quel vino necessario a fare festa è uno dei momenti che una coppia può attraversare. La vita è fatta di tempi diversi, è fatta di momenti di entusiasmo e momenti di fatica, di momenti di condivisione e momenti di incomprensione, ma è sempre un tempo in cui il Signore può entrare nella nostra storia e colmare il nostro vuoto. Anche il momento che gli sposi di Cana stanno vivendo è un tempo della storia: sebbene non sia l’ora suprema in cui il Signore manifesterà la sua gloria (quell’ora che nel Vangelo di Giovanni è l’ora della croce), è comunque un tempo di rivelazione.
Nella risposta di Gesù a sua madre è espressa proprio questa relazione tra i momenti in cui Egli si rivela nella storia e la loro comprensione. In tutte quelle ore della vita in cui sperimentiamo la povertà, il vuoto, l’angoscia, Cristo è sempre pronto a rivelarsi come colui che ci tira fuori dai nostri abissi. Così come l’ora di Cana prelude all’Ora della Pasqua, così le ore in cui il Signore si rende presente nella storia ci permettono di gustare il frutto della croce.
Leggersi dentro
- Cosa ti manca in questo tempo della tua vita?
- Stai facendo quello che Gesù ti ha chiesto?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte