Più potenti o più inermi?
Ogni struttura nel tempo tende a consolidarsi, non sempre ci riesce, ma sicuramente questo è l’implicito obiettivo: diventare più forte, più solida, più sicura. Questo vale anche per l’essere umano. Ogni persona infatti mira a formarsi, custodire e difendere una personalità riconoscibile e stabile. Di conseguenza tutto ciò che si presenta come novità, instabilità o provocazione viene regolarmente respinto.
La domanda che la liturgia di oggi ci pone davanti è se questa modalità di strutturazione sia compatibile con la vita spirituale. Abbiamo infatti come obiettivo il potere, mentre la vita spirituale mira all’incontro con la novità di Dio e soprattutto a crescere in un amore che non ci rende più potenti, ma più inermi!
Esortare o controllare?
- Pubblicità -
Il capitolo 14 degli Atti degli Apostoli descrive infatti alcuni modi di procedere nella prima comunità cristiana, nonché alcuni elementi della predicazione iniziale. Innanzitutto è una Chiesa che non rimane ferma, ma che è in movimento. Lo scopo delle visite degli Apostoli alle comunità non è la costruzione di un potere, ma l’occasione per riconoscere l’opera di Dio. Sembra infatti che anche gli anziani, che vengono scelti, abbiano il compito di continuare quell’opera di incoraggiamento, dal momento che si entra nel Regno di Dio «attraverso molte tribolazione» e non attraverso il potere.
È probabile però che sempre di più, proprio per quella tendenza che abbiamo evidenziato all’inizio, questo compito si sia identificato progressivamente con una funzione di giudizio e di controllo. Al contrario, chi presiede la comunità, sembra dirci la liturgia di oggi, dovrebbe avere come scopo quello di «dire la gloria del Regno di Dio e di parlare della sua potenza», come ci viene ricordato dal Sal 144.
Equilibrio o novità?
Ciò che si consolida e si struttura nel potere, difficilmente si apre poi alla novità. È proprio questa infatti la provocazione che viene sollevata sia dal testo dell’Apocalisse quanto, e soprattutto, dai versetti del capitolo 13 di Giovanni, che ci presentano una piccola parte del discorso di Gesù nel Cenacolo dopo che Giuda si è gettato nella notte del tradimento.
I versetti del libro dell’Apocalisse che ascoltiamo ripetono per almeno quattro volte la parola nuovo: come dicevo, chi tende però a consolidarsi, cerca un equilibrio rassicurante, e difficilmente si apre alla novità. Come possiamo vivere allora il rapporto con Dio? Se siamo più attenti a costruire strutture di potere e di controllo, quale spazio potrà esserci per la presenza di Dio che si rivela nella novità?
Reciprocità o spreco?
Anche il comandamento che Gesù lascia ai suoi discepoli è un comandamento nuovo. E comprendo questa novità nel senso di una continua provocazione che sbaraglia il tentativo umano di ritrovare costantemente un equilibrio. Gesù infatti ci chiede di amare in una modalità capace di abbandonare la reciprocità. Eppure sappiamo bene che ordinariamente tendiamo tuttalpiù ad amare cercando un equilibrio.
Se amiamo, lo facciamo per lo più secondo i criteri della partita doppia: non ammettiamo mai che i conti dell’amore siano in rosso! Amiamo con la subdola speranza di essere ripagati, diamo con l’intenzione più o meno manifesta di ricevere almeno altrettanto. La chiamiamo educazione o rispetto. Abbiamo fatto della reciprocità un valore culturale, ma certamente non è il modo in cui Cristo ci chiede di amare.
Gesù infatti dice sì di amarci l’un l’altro, ma aggiunge come egli ci ha amato. Se non avesse aggiunto quel come, avremmo potuto ricercare nell’altro il criterio dell’amore: ti amo sì, ma come mi ami tu, non di meno, ma neanche di più. L’amore sarebbe diventato una sorta di salto nella spirale della competizione e del confronto. E purtroppo, umanamente, l’amore è stato ridotto a questo.
Gesù invece pone il criterio dell’amore al di fuori della reciproca relazione: ciascuno deve amare l’altro non guardando a come è amato dall’altro, ma a come è amato da Gesù. La provocazione di Gesù è terribile, perché Gesù ci ha amato e ci ama senza misura, senza giudicare, perdonandoci gratuitamente, sprecando con noi l’amore senza la pretesa del contraccambio. Per questo ogni equilibrio viene meno, ma proprio questo superamento dell’equilibrio consente di essere aperti alla novità di Dio.
I discepoli di Gesù si riconoscono quindi da come si amano, diceva la Lettera a Diogneto, si riconoscono cioè se nella loro relazione traspare il modo di amare di Gesù.
Leggersi dentro
- Sei preoccupato di consolidare il tuo potere o sei aperto alla novità di Dio?
- Nel tuo modo di amare ricerchi l’equilibrio o sei disposto a sprecare?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte