Esitazione e rinuncia
Quando camminiamo per un sentiero o facciamo un pellegrinaggio o semplicemente passeggiamo per la nostra città, dobbiamo inevitabilmente decidere, più o meno consapevolmente, la direzione in cui vogliamo andare. Succede così anche nella vita. Ma sempre più spesso capita di assistere a una tendenza diffusa a procrastinare le decisioni.
Alla fine preferiamo che gli altri o la realtà o il tempo scelgano per noi. In questo modo ci sembra di esserci liberati dal peso della responsabilità. L’orizzonte ci sta davanti, ma non abbiamo il coraggio di salpare. Il rischio è che l’esitazione diventi la norma…e alla fine rinunciamo a vivere. Ancor più grave è il caso in cui, procrastinando le decisioni, le conseguenze ricadono sulla vita degli altri.
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Forse per questo, nel III Canto dell’Inferno, Dante definiva gli ignavi coloro che mai non fur vivi! Proprio perché il loro peccato fu quello di rimanere fermi, la loro punizione è immaginata da Dante come una corsa forsennata dietro un’insegna che gira su se stessa: coloro che non cominciarono a correre verso la meta, adesso corrono inutilmente.
Il tempo di ri-decidere
Al contrario, questo passo del Vangelo di Luca descrive la tenacia con cui Gesù persegue la sua meta e inizia a portare a compimento quel progetto di salvezza che ha assunto su di sé. L’episodio della trasfigurazione prelude all’inizio del cammino con il quale Gesù si dirige decisamente verso Gerusalemme (Lc 9,51).
Sappiamo bene, per esperienza, che, anche se abbiamo preso già la nostra decisione, prima o poi la vita ci chiederà di diventarne ancor più consapevoli. Quella decisione iniziale deve affrontare la prova della realtà. È il tempo delle ri-decisione. Sono i momenti della vita in cui possiamo guardarci indietro, rivedere il cammino che abbiamo fatto e decidere se tornare sui nostri passi o procedere verso la meta che abbiamo scelto.
Anche Gesù è in qualche modo nel mezzo del guado. E in questo contesto sente ancora una volta la voce del Padre, che, come nel momento del battesimo, ovvero il momento in cui ha ricevuto la sua missione, continua a rinnovargli la sua fiducia: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». (Lc 9,35 e cf 3,22).
Uscire o chiudersi
Una chiave per comprendere questo testo è proprio l’opposizione tra uscire e chiudersi, tra l’esodo e la capanna. Gesù parla del suo esodo verso Gerusalemme. Decidere significa infatti uscire dalle proprie paure, uscire dalle proprie sicurezze, uscire da se stessi per incontrare la realtà, ma l’esodo, già nel greco classico, è anche metafora del cammino che ci porta fuori dalla vita, cioè verso la morte. Pietro chiede invece di costruire delle capanne, che sono l’immagine di ciò che custodisce e trattiene. Può capitarci infatti di vivere tutta la vita dentro una capanna, magari comoda, ma che può diventare una trappola.
Questa immagine della capanna (in gr. skenè), in cui Pietro vuole racchiudere e imprigionare questa sua esperienza di Dio, rimanda all’immagine della dimora (in ebr. Shekinah), luogo della presenza di Dio. Ma l’incontro con Cristo rende inutile e impossibile ogni tenda. Pietro vorrebbe fissare quel ricordo nell’immobilismo di una sorta di fotografia, ma l’esperienza con Cristo è un’esperienza vivente, sempre nuova, che non si lascia trattenere né fissare in alcun modo. Alla fine di quella visione resta infatti solo Gesù. È in lui che ogni uomo può ritrovare il luogo dell’incontro con Dio. Quella è stata appunto l’esperienza che i discepoli hanno fatto: Gesù si è trans–figurato, si è lasciato vedere al di là della figura, oltre l’immagine umana che al contempo rende visibile e nasconde il volto di Dio.
Impegnarsi per sempre
Gesù è colui nel quale si compie l’Alleanza. L’alleanza di Dio con Abramo, descritta in Gen 15,5-18, ne è prefigurazione. Dio chiede ad Abramo di prendere degli animali. Abramo, di sua iniziativa, li divide. Gli animali venivano squartati infatti come monito per colui che avrebbe tradito l’alleanza, quella sarebbe stata la sua sorte. Eppure, leggendo il testo, scopriamo che solo Dio, nell’immagine del fuoco, passa in mezzo agli animali divisi, come se solo lui prendesse su di sé le conseguenze di quell’alleanza. Allo stesso modo, in Cristo, Dio si impegna una volta per sempre con noi, prendendo su di sé il prezzo di quel patto.
In questo ruolo di mediazione, come Messia e sacerdote eterno, Gesù è riconosciuto dalla presenza di Mosè ed Elia, i due profeti di cui non si conosce il luogo della sepoltura, coloro che sarebbero tornati per annunciare la venuta del Messia. Nel contempo però Mosè ed Elia sono anche immagine dell’intera Scrittura, quella a cui nel Vangelo si fa spesso riferimento con la locuzione “la Legge e i Profeti”. Ecco, come Mosè è il simbolo della Legge, colui al quale è stata consegnata e colui che, secondo la tradizione, l’aveva messa per iscritto, così Elia è il profeta per eccellenza.
Oscurità e incertezza
Il tempo della ri-decisione non è esente da oscurità e incertezze. Se è vero che la nube nasconde, scopriamo anche però che attraverso di essa è possibile udire la voce del Padre che rassicura e conferma.
Ciascuno di noi sta attraversando sentieri incerti, e forse cerchiamo sicurezze e stabilità. Pur nell’oscurità di una nube che ci avvolge, ogni momento può diventare il luogo della trasfigurazione, quello in cui Dio ci mostra il suo vero volto. È la luce che emana dal suo volto trasfigurato che ci permetterà di riconoscere la via.
Leggersi dentro
- Tendi anche tu a procrastinare le tue decisioni o sei pronto ad assumerti le tue responsabilità?
- Riesci a vivere con libertà i momenti in cui Dio si rivela nella tua vita o pretendi di trattenere la sua presenza?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
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