I no che fanno crescere
Uno dei compiti più difficili di un genitore o di un educatore è saper dire no! Facciamo fatica a dire dei no, perché abbiamo paura di perdere l’affetto, abbiamo paura di ferire, preferiamo essere gratificati dall’apprezzamento immediato, pur sapendo che quel no mancato è un errore.
Questa incapacità di dire no, cioè di dare regole, è un tradimento del figlio o della persona che ci viene affidata. È un tradimento perché non lo stiamo aiutando a crescere. Il divieto aiuta infatti a interiorizzare la regola, permette di capire che io non sono tutto: ho dei confini, dei limiti, proprio perché sono io. La parola del padre, che simbolicamente resta ancora l’immagine della legge, è quella parola che modella l’identità: attraverso i confini, la parola del padre dà forma. Talvolta questa parola è diventata purtroppo repressiva, e quindi deformante, altre volte, come accade spesso oggi, questa parola non c’è, è assente, e la vita del figlio non riesce più a prendere forma. Il compito adeguato di un genitore, formatore, educatore, è invece quello di dosare la forza della sua parola per aiutare a crescere nell’identità.
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La parola di Dio Padre
Le letture di questa domenica ci mettono davanti all’atteggiamento paterno di Dio, che educa attraverso la parola che mette confini, come aveva fatto all’inizio della creazione: Dio crea mettendo dei limiti e delineando dei confini.
Così come non ci portiamo dietro i nostri genitori per fare delle scelte da adulti (almeno si spera), così la parola di Dio dovrebbe entrare dentro di noi, in modo da diventare il nostro modo di vivere. La nostra giustizia infatti non dovrebbe essere come quella degli scribi e dei farisei, cioè non dovrebbe essere dettata dalla paura della condanna. La Parola di Dio è pronunciata per aiutarci a vivere, non per tenerci repressi e frustrati. Non si può certamente amare e vivere una vita piena se siamo spinti dal senso di colpa, dal dovere o dalla paura: «Non per la paura dell’inferno, né per la speranza del Paradiso, ma per come mi hai amato, io ti amo», diceva Francesco Saverio.
La gradualità del male
Le parole di Gesù, in questo discorso del Vangelo di Matteo, hanno il sapore di un invito a vivere in maniera piena e autentica le nostre relazioni. Sappiamo bene infatti che il conflitto è sempre alle porte, l’altro diventa facilmente una minaccia. Arriviamo a uccidere in tanti modi, ma non ci si arriva all’improvviso.
Gesù ci fa notare che c’è una progressione che passo dopo passo ci porta a diventare assassini del fratello: prima ci si adira, poi gli si dice stupido, poi che è pazzo e alla fine ci si ammazza. Occorre rendersi conto per tempo di dove stiamo arrivando e fermare questa spirale di odio che facilmente si accende e cresce dentro di noi.
Agere contra
Per fermare questa spirale occorre agere contra, muoversi nella direzione diametralmente opposta a quello verso cui siamo spinti dalla rabbia, meglio fare il primo passo, cercare la riconciliazione anche quando non siamo stati noi a sbagliare, abbassare i toni. Non è detto che l’altro accetti o capisca, ma non importa. Quello che conta, adesso, è il lavoro che sto facendo su di me. È un lavoro anche per l’altro, anche se oggi forse non lo riconosce.
Occorre sempre cercare la riconciliazione, altrimenti le cose ci sfuggono di mano: dal giudice si passa alla guardia, poi alla prigione da cui non si esce più. E quella prigione è prima di tutto la prigione del rancore e dell’odio. Quando ci siamo chiusi in quella prigione, restiamo intrappolati ed è difficile uscirne.
L’adulterio
Occorre lavorare su noi stessi, per esempio sui nostri desideri: l’adulterio è l’esito di un desiderio su cui non abbiamo vigilato. È il desiderio di usare l’altra persona. Quindi non si tratta solo di un adulterio sessuale, ma commettiamo adulterio ogni volta che tradiamo la fiducia di qualcuno e usiamo gli altri come strumenti della nostra soddisfazione personale. Quando ci serviamo degli altri, siamo adulteri!
Sarebbe riduttivo ricondurre questa parola di Gesù solo alla sfera sessuale. Siamo adulteri quando desideriamo usare l’altra persone per il nostro interesse. È scandaloso allora mettersi a giudicare gli altri, quando, in maniera velata e nascosta, noi siamo stati adulteri molto più spesso e forse in modo molto più grave.
Occorre lavorare su noi stessi, sulla nostra responsabilità. Forse è il nostro occhio che non ha guardato bene o la nostra mano che non ha agito bene. Non ha senso gettare sempre la colpa sugli altri o sulle situazioni o sulla fortuna. È il mio occhio e la mia mano: cavare l’occhio o tagliare la mano vuol dire assumersi la propria responsabilità. Riconosco ciò che dipende da me!
Una vita autentica
Una vita piena è una vita autentica, una vita nella quale possiamo essere trasparenti. Se non siamo capaci di dire la verità, c’è qualcosa che non sta funzionando nella relazione. Se abbiamo bisogno di giurare o di mentire, vuol dire che nella relazione non c’è libertà e trasparenza. Quando ricorriamo a questi sistemi, dobbiamo chiederci cosa sta succedendo nel rapporto con quella persona. Se stiamo cercando di difenderci, vuol dire che non siamo liberi.
Da questo punto di vista, la parola di Gesù è allora una parola che vuole aiutarci a crescere, a fiorire in una vita piena, nella quale possiamo essere adulti realizzati, capaci di vivere delle relazioni vere.
Leggersi dentro
- Faccio le cose per dovere o per amore?
- Sono pronto a fermarmi e a cercare la riconciliazione o mi lascio trascinare dalla rabbia e dagli eventi?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte