Educazione al mangiare
Il modo in cui mangiamo dice molto di noi: alcuni mangiano in modo vorace, cercando di accaparrarsi tutto quello che c’è, magari poi stanno male, ma non vogliono rinunciare a niente; altri, purtroppo, si rifiutano di mangiare, come se non volessero entrare in relazione con il mondo che sta fuori; ad altri ancora piace preparare da mangiare per altri, quasi un modo per entrare in contatto. Ci sono tante altre sfumature, ma il fatto che spesso nella letteratura tanti racconti abbiano a che fare con il cibo, ci fa capire che in molte culture intorno al mangiare convergono tanti altri aspetti della vita.
La Bibbia ci parla tante volte del mangiare, fin dall’inizio: il primo peccato si consuma proprio afferrando un frutto che si presenta gradevole, ma che in realtà avvelena la vita. È come se la Parola di Dio volesse in qualche modo educarci a discernere quello che ci nutre da quello che ci fa morire, fino a riconoscere che la vera fonte della vita è in Gesù Cristo.
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Imparare a nutrirsi
La vita è difatti un percorso attraverso il quale impariamo a nutrirci, fin da quando siamo bambini, e durante il quale cambia il nostro modo di mangiare. Ma la vita è anche un cammino durante il quale a volte siamo presi dalla paura di non trovare quello di cui desideriamo nutrirci: è questa infatti l’immagine del cammino di Israele attraverso il deserto, come leggiamo in questa domenica nel libro del Deuteronomio. Un cammino che diventa emblematico per Israele come parabola della sua storia e soprattutto come immagine della relazione con Dio.
Ma l’immagine di questo cammino parla chiaramente di ciascuno di noi: tutti abbiamo paura che per noi non resti niente, abbiamo paura di essere esclusi dal banchetto della vita. E le paure molte volte prendono corpo, diventando serpenti che avvelenano la nostra mente.
Ricevere da mangiare
E proprio come per Israele, anche nel nostro cammino, Dio non esita a farci trovare ogni giorno quello che serve, è la nostra manna. Non sempre è quello che vorremmo mangiare, ma per ora è quello che ci fa andare avanti. È un tempo nel quale siamo chiamati a fidarci: abbiamo solo quello che serve per oggi, per esercitarci ad avere fiducia nel Signore, che domani non farà mancare quello che serve! Il cammino nel deserto ci educa anche ad accogliere la vita piuttosto che a illuderci di trovarla da soli: la manna è un dono, non è una conquista. Dio educa Israele, forse senza grande successo, a guardare la vita di ogni giorno come una benedizione e non con l’angoscia di dover affrontare l’aridità del deserto solo con le proprie forze.
Nutrirsi della parola
Il cammino nel deserto è anche un esercizio di fiducia nella parola di Dio: l’uomo impara di cosa ha veramente bisogno (cf Dt 8,3), perché Dio manda sulla terra il suo messaggio (Sal 147,15), di cui la manna è l’immagine. Non sempre infatti ci nutriamo delle parole di Dio: spesso divoriamo parole umane che ci avvelenano, parole seduttive, parole di rancore, parole di scoraggiamento. Questo però non è il cibo con cui Dio vuole nutrire la nostra anima.
Un cammino di liberazione
Il cammino nel deserto è un cammino di liberazione: come Israele viene liberato dalla schiavitù dell’Egitto, così il nostro cammino nel deserto della vita è un itinerario di liberazione dalla nostra paura di morire. È il cammino lungo il quale sperimentiamo la presenza accudente di Dio. In Cristo questa liberazione diventa piena e definitiva, come liberazione dalla morte.
Quel cammino di liberazione, che passa attraverso il Mar Rosso e poi per il deserto, si apre però ancora una volta con una cena, nella quale gli israeliti mangiano la carne dell’agnello e segnano con il sangue dell’animale gli stipiti delle loro porte. Quel sangue è il segno della loro appartenenza a Dio e per questo saranno risparmiati al passaggio dell’angelo della morte.
Gesù è l’agnello
Questa immagine è fondamentale per capire le parole di Gesù nel Vangelo: adesso è lui l’agnello nel cui sangue siamo liberati, è lui l’agnello la cui carne ci nutre. Ma la carne e il sangue sono anche evidentemente immagine della persona: nutrirsi della carne e del sangue di Gesù vuol dire entrare in relazione con lui. Nel capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, prima di arrivare a parlare del suo sangue e della sua carne, Gesù ha nutrito le folle con il pane e ha anche cominciato a dire che è lui il pane che nutre, ma davanti all’incomprensione di chi lo ascoltava, Gesù si esprime in modo ancora più forte: egli non è solo colui che ci dà quello che ci serve per vivere, ma è la relazione con la sua persona che ci fa vivere! Ci nutriamo di lui nella misura in cui siamo disposti a coltivare questa relazione.
Mangiare insieme
Se ciascuno di noi coltivasse la relazione con Gesù inevitabilmente ci ritroveremmo in lui, perché gli apparteniamo. Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi che leggiamo questa domenica, insiste proprio su questa comunione che si realizza nella comune appartenenza a Gesù: da molti, diventiamo un solo corpo (1Cor 10,17). Viviamo in maniera forte e reale questa comune appartenenza proprio nel gesto di nutrirci dell’eucarestia! È grave perciò quando questo gesto dice qualcosa che poi non viviamo: insieme ci nutriamo di Lui, ma poi dopo le nostre relazioni mostrano divisione! Condividere il suo corpo e il suo sangue è anche una responsabilità che ricade sul modo in cui viviamo le relazioni tra noi: diciamo davvero una comune appartenenza nutrendoci insieme del corpo di Cristo?
Ricevere la vita
Gli interlocutori di Gesù si chiedono come sia possibile che Egli dia loro la sua carne da mangiare. Forse qui il vero problema è l’idea di ricevere quello di cui abbiamo bisogno per vivere: preferiamo infatti procacciarci il cibo da soli, mostrare che siamo adulti e capaci, non vogliamo essere in debito con nessuno. In questo senso i poveri ci insegnano cosa voglia dire avere l’umiltà di ricevere la vita. Anche noi siamo poveri, perché ciò che nutre davvero la nostra vita non possiamo trovarlo da soli.
Mangiare il corpo e il sangue di Cristo significa allora vivere la relazione con lui, nutrirci di questa relazione e rimanere in questa relazione: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6,56).
Leggersi dentro
- Di cosa sto nutrendo la mia vita?
- In che modo, a partire dall’Eucaristia, cerco di rimanere nella relazione con Cristo?
per gentile concessione di P. Gaetano Piccolo S.I.
Fonte