Padre Fernando Armellini, biblista Dehoniano, commenta il Vangelo di domenica 28 novembre 2021.
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I veri profeti infondono speranza
Lasciare cadere le braccia, rassegnarsi di fronte allo strapotere del peccato che domina nel mondo e in noi: è una pericolosa tentazione.
Profeti di sventura sono coloro che ripetono: “Non vale la pena impegnarsi, non cambierà mai nulla”; “non c’è niente da fare, il male è troppo forte”; “la fame, le guerre, le ingiustizie, gli odi esisteranno sempre”.
Non vanno ascoltati. Chi, come Paolo, “ha assimilato il pensiero di Cristo” (1 Cor 2,16), vede la realtà con occhi diversi, scorge il mondo nuovo che sta nascendo e con ottimismo annuncia a tutti: “Proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19).
Nella nostra vita personale verifichiamo fallimenti, miserie, debolezze, infedeltà. Non riusciamo a staccarci da difetti e cattive abitudini. Le passioni sregolate ci dominano, siamo costretti ad adattarci a una vita di penosi compromessi e di ipocrisie umilianti. Paure, delusioni, rimorsi, esperienze infelici ci rendono incapaci di sorridere. Sarà ancora possibile recuperare la fiducia in noi stessi e negli altri? Qualcuno potrà ridarci la serenità, la fiducia e la pace?
Non c’è condizione di schiavitù da cui il Signore non ci possa liberare, non c’è abisso di colpa da cui non ci voglia sollevare. Egli si aspetta solo che prendiamo coscienza della nostra condizione e gli rivolgiamo le parole del salmista: “Dal profondo grido a te o Signore”.
Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Sono certo: il Signore realizzerà le promesse di bene che ha fatto”.
Prima Lettura (Ger 33,14-16)
14 Ecco verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. 15 In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. 16 In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.
Ricostruire una casa quando si hanno ancora sotto gli occhi i tizzoni fumiganti della precedente richiede una forza d’animo non comune, soprattutto se si è già avanti negli anni e non si è sorretti da prospettive future stimolanti. La delusione e lo sconforto fanno perdere l’entusiasmo e fanno apparire insormontabili le difficoltà.
La situazione degli Israeliti ai quali il profeta rivolge le parole contenute in questa lettura, può essere paragonata a quella di chi, sconsolato, fissa le macerie della propria casa.
Un gruppo di esuli tornato da Babilonia trova la città di Gerusalemme in rovina. La terra devastata è divenuta un rifugio di sciacalli (Ger 10,22). Volgono attorno lo sguardo e non scorgono che segni di morte e distruzione.
Inizia la ricostruzione, ma i lavori procedono a rilento. Un cupo presentimento grava sull’animo di tutti, anche se nessuno vorrebbe lasciarlo trasparire: noi chiuderemo gli occhi e saremo riuniti ai nostri padri prima di vedere la nuova Gerusalemme. Si chiedono: come mai siamo stati colpiti da così gravi sciagure? Dio ci ha abbandonato per sempre? Si è forse dimenticato delle promesse fatte ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe, a Davide?
A questa gente sfiduciata il profeta rivolge un messaggio di speranza: le nostre infedeltà, quelle che ci hanno portato alla rovina, non impediranno al Signore di realizzare le sue promesse, perché egli è comunque fedele (v.14).
Stanno per giungere – dice – i giorni in cui, nella famiglia di Davide, spunterà un germoglio giusto che “eserciterà il giudizio e la giustizia” (v.15).
Se il giudizio e la giustizia di Dio fossero di tipo forense, gli israeliti non dovrebbero aspettarsi che un verdetto di condanna. Ma egli non viene mai per pronunciare una sentenza, egli viene per creare la giustizia, la sua giustizia che consiste nel coinvolgimento dell’uomo nel suo progetto di salvezza.
Il cambiamento del nome di Gerusalemme indica il pieno successo della sua opera. La città – immagine di tutto il popolo – sarà chiamata Signore nostra giustizia, cioè: il Signore è riuscito ad infondere in noi la sua giustizia (v.16).
Le promesse del profeta suscitarono in molti la speranza di un intervento prodigioso di Dio per rimettere in piedi la città distrutta. Rimasero delusi. La ricostruzione del paese fu lenta e richiese molti sacrifici e tanta fatica.
Le promesse hanno tardato a realizzarsi, ma Dio le ha mantenute.
Il germoglio di Davide atteso dagli israeliti – oggi lo sappiamo – è stato inviato: Gesù di Nazareth. Con lui ha avuto inizio il regno di pace e di giustizia. È ancora un piccolo albero che si sviluppa lentamente e ha bisogno del nostro impegno e della nostra collaborazione.
Chi si scoraggia, chi si arrende di fronte alle difficoltà, chi diviene intollerante con se stesso e con gli altri, chi pretende di ottenere trasformazioni radicali ed immediate non ha capito i ritmi di crescita del regno di Dio.
Vero profeta è chi aiuta a cogliere i segni del mondo nuovo che sorge, chi infonde fiducia e speranza, chi fa comprendere che per il regno del male non c’è futuro, chi, anche nelle situazioni disperate, sa indicare un cammino per recuperare, per ricostruire una vita che agli occhi degli uomini può sembrare irrimediabilmente distrutta.
Seconda Lettura (1 Ts 3,12-4,2)
3, 12Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, come anche noi lo siamo verso di voi, 13 per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.
4,1 Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. 2 Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
La ragione per cui è stato scelto questo brano come seconda lettura di questa prima domenica di Avvento sta nel fatto che in essa si parla della venuta del Signore Gesù con tutti i suoi santi (3,13) e ci viene detto anche come ci si deve preparare a questa venuta.
Rivolgendosi ai cristiani di Tessalonica, Paolo riconosce che essi sono molto buoni, ma chiede al Signore che li faccia crescere ancor più nell’amore reciproco (v.12). Questo – dice – è il cammino che porta alla santità ed è l’unico modo per attendere in modo vigilante la venuta del Signore (v.13).
Le parole dell’Apostolo sono valide anche per le comunità di oggi che si preparano ad accogliere il Signore. I rapporti reciproci sono probabilmente già abbastanza buoni, ma è sempre possibile migliorarli. Forse c’è ancora qualche incomprensione da superare, c’è qualche contrasto che va risolto, qualche tensione da allentare. La ricerca dell’intesa con tutti, la pratica dell’amore vicendevole – che Paolo raccomanda ai tessalonicesi – non possono essere sostituite da nessuna pratica devozionale (anche buona) con cui si cerca di prepararsi al Natale.
Vangelo (Lc 21,25-28.34-36)
25 Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26 mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
27 Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.
28 Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
34 State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; 35 come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. 36 Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo.
Di fronte alle espressioni drammatiche e molto esplicite con cui inizia il Vangelo di oggi, si è portati a pensare che Gesù stia dando in anticipo qualche informazione su ciò che accadrà alla fine del mondo.
È così che il testo è stato spesso interpretato, non solo dai fanatici delle sette fondamentaliste, ma, in passato, anche da qualche predicatore nelle nostre chiese.
Il susseguirsi dei fatti narrati è agghiacciante: segni nel sole, nella luna e nelle stelle, le potenze dei cieli che vengono sconvolte e sulla terra il fragore terrificante del mare agitato da una spaventosa burrasca.
Sembra il preludio ideale alla scena degli angeli che con le loro trombe vengono a risvegliare i morti e all’apparizione, sulle nubi del cielo, del Cristo giudice. Giudice severo (difficile immaginarlo diverso, conoscendo qual è stata la storia dell’umanità, almeno fino ad oggi) venuto per pronunciare l’inappellabile verdetto.
Il minaccioso annuncio della fine del mondo oggi sgomenta sempre meno: turba psicologicamente qualche persona e fa invece sorridere coloro che dovrebbe scuotere, far riflettere, riportare alla ragione.
Se l’obiettivo di Gesù fosse quello di incutere paura non avrebbe raggiunto lo scopo.
Gesù non intende suscitare spavento, ma ottenere esattamente l’opposto. Egli vuole liberare dalla paura, suscitare gioia, infondere speranza. Lo vedremo: non sta minacciando cataclismi, ma annuncia un evento lieto.
Cerchiamo allora di capire il significato di questo difficile brano, difficile perché usa un linguaggio che non è più il nostro.
Per descrivere un grande cambiamento, una trasformazione radicale del mondo, un intervento risolutore di Dio, la Bibbia è solita impiegare immagini impressionanti – le cosiddette immagini apocalittiche – molto usate dai predicatori e dagli scrittori del tempo di Gesù.
Notiamo, anzitutto, che gli elementi menzionati (il sole, la luna, le stelle, le potenze dei cieli, il mare) sono gli stessi che compaiono nel racconto della creazione.
Il libro della Genesi inizia con le parole: “La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso” (Gen 1,2). Nessuna luce, nessuna forma di vita, tutto era disordine e oscurità fino a quando Dio non intervenne con la sua parola. Poi comparvero il sole e la luna per segnare regolarmente i ritmi dei giorni, delle notti e delle stagioni.
Il mare – immaginato dagli antichi come un mitico mostro – invadeva la terra, ma Dio “lo chiuse tra due porte… gli mise un chiavistello e disse: fin qui giungerai e non oltre e qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde” (Gb 38,8-11).
Così si passò dal caos al cosmo e la terra divenne abitabile per uomini, animali e piante.
Nel nostro brano si annuncia un movimento opposto: viene descritto un ritorno al caos primordiale. Si dice che le forze che mantengono l’ordine nell’universo vengono sconvolte, si regredisce alla situazione confusa, informe e buia che esisteva prima della creazione.
Le immagini apocalittiche usate da Gesù non si riferiscono a esplosioni di astri, a scontri catastrofici di stelle e pianeti, ma parlano di ciò che accade oggi. È nel nostro mondo che diviene impossibile vivere: si commettono soprusi e ingiustizie, ci sono odio, violenze, guerre, condizioni disumane, la natura stessa viene distrutta dallo sfruttamento sconsiderato delle risorse ed anche i ritmi dei tempi e delle stagioni non sono più regolari.
Angosciati gli uomini si chiedono: cosa accadrà? Dove andremo a finire?
Ecco la paura. Di fronte al male che li sovrasta e che non riescono a controllare gli uomini sanno solo spaventarsi e tremare: “Gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra” – dice il Vangelo di oggi (v.26).
È il terrore che gli uomini provano di fronte ai disastri che hanno provocato con il rifiuto di ogni legge etica, con il disprezzo dei valori più sacri, con la perdita di tutti i punti di riferimento morale.
La storia dell’umanità è dunque avviata verso una ineluttabile catastrofe?
No – assicura Gesù (ed è questo il messaggio centrale del brano) – ma piuttosto verso una nuova creazione. Ove si scorgono segni del disordine provocato dal peccato, lì va atteso il Figlio dell’uomo con potenza e gloria grande. La sua forza farà nascere dal caos un mondo nuovo (v.27).
Il pericolo da cui Gesù vuole mettere in guardia è la paura e lo scoraggiamento di fronte al male. Egli invita ad aprire il cuore alla speranza: il mondo dominato dall’ingiustizia, dalla cattiveria, dall’egoismo, dall’arroganza è giunto alla fine e ne è già spuntato uno nuovo.
Che fare nell’attesa? (v. 28).
Anche se il caos che ancora esiste è spaventoso, il discepolo non si abbatte. Non si china come gli altri uomini piegati dall’angoscia, “tramortiti dalla paura”. Si alza e leva il capo. Non si aspetta un intervento prodigioso di Dio, non si culla nella vana speranza che qualcosa possa improvvisamente cambiare per qualche inattesa coincidenza preordinata dal cielo.
Il mondo nuovo può nascere da qualunque situazione caotica, basta lasciare operare la parola di Dio, come è accaduto all’inizio della creazione.
Quante persone vediamo camminare “curve”, oppresse dal dolore e dalle disavventure, rattrappite dalla paura. Non hanno la forza di risollevare il capo perché hanno perso ogni speranza: la moglie abbandonata dal marito, i genitori delusi dalle scelte dei figli, il professionista rovinato dall’invidia dei colleghi, gli uomini vittime dell’odio e della violenza, le persone che si sentono in balia dei loro istinti…
Il Vangelo di oggi invita tutti a “levare il capo”. Non c’è caos da cui Dio non possa ricavare un mondo nuovo e meraviglioso. Questo mondo nasce nell’istante stesso in cui si permette a Dio di realizzare il suo Avvento nella nostra vita.
Di fronte alle forze del male che sembrano sempre avere la meglio, oltre allo scoraggiamento c’è il pericolo della fuga, della ricerca di palliativi, delle soluzioni fasulle (vv.34-35).
Luca – che forse ha sott’occhio il comportamento di alcuni cristiani delle sue comunità – li elenca in modo crudo. Accenna anzitutto alle crapule, alle sbevazzate. Sono il simbolo di tutte le dissolutezze, di tutte le evasioni e le dissipazioni mediante le quali cerchiamo di anestetizzare le delusioni e i fallimenti. Queste evasioni sono “un laccio” (v.35), una trappola in cui molte persone cadono, restano impigliate senza riuscire più ad andare incontro al Signore che viene.
Come rimanere svegli, attenti, pronti a cogliere il momento e il luogo in cui il Signore viene? È molto facile confondersi, ingannarsi, aspettarlo dove egli non viene e precludergli invece la strada dove egli desidera entrare (nelle nostre cattive abitudini, nel nostro attaccamento ai beni di questo mondo, nei nostri progetti di grandezza…).
C’è un solo modo per rimanere vigilanti: pregare (v.36). La preghiera – dice Gesù – avrà due effetti: darà la forza di “sfuggire a tutte quelle cose che stanno per accadere”, cioè, ci farà vedere con lo sguardo di Dio tutti gli avvenimenti e impedirà che veniamo colti dalla paura. Nulla ci spaventerà perché sapremo cogliere in ogni evento – lieto, triste e anche drammatico – il Signore che viene, che viene per farci crescere, per farci maturare, per avvicinarci a lui.
La preghiera ci permetterà anche di stare in piedi, cioè, di attendere senza timore il Figlio dell’uomo. Ci renderà pronti ad accoglierlo e a partire con lui verso quegli spazi di libertà dove egli ci vuole condurre.
È la preghiera che libera dalla mentalità corrotta di questo mondo, che fa assaporare e gustare il giudizio di Dio sulla storia e che avvicina all’uomo.
AUTORE: p. Fernando ArmelliniFONTE: per gentile concessione di Settimana News