Padre Fernando Armellini, biblista Dehoniano, commenta il Vangelo di domenica 25 settembreĀ 2022.
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Godersi la vita ĆØ rinunciare a vivere
Vi fu un tempo in cuiĀ Dio sembrava alleato dei ricchi: il benessere, la fortuna, lāabbondanza di beni erano considerati segni della sua benedizione.
La prima volta che nella Bibbia compare la parola ebraicaĀ kesefĀ (che significaĀ argentoĀ o, piĆ¹ comunemente,Ā denaro) ĆØ riferita ad Abramo. Egli āera molto ricco in bestiame, argento e oroā (Gen 13,2); Isacco āfece una semina e raccolse in quellāanno il centuplo. Il Signore, infatti, lo aveva benedetto. Divenne ricco e crebbe tanto in ricchezza da divenire ricchissimoā (Gen 26,12-13); Giacobbe possedeva innumerevoli ābuoi, asini e greggi, schiavi e schiaveā (Gen 32,6). Anche il Salmista non sa promettere di meglio al giusto; dice: āAbbondanza e ricchezza saranno nella tua casaā (Sal 112,3).
La povertĆ era un disonore. Si riteneva fosse conseguenza della pigrizia, dellāozio e della sregolatezza: āUn poā dormire, un poā sbadigliare, un poā incrociare le braccia per riposare e intanto arriva, passeggiando, la miseriaā (Prv 24,33-34).
Con i profeti avviene un capovolgimento di prospettiva: si comincia a capire che i beni accumulati dai ricchi non sono sempre frutto del loro onesto lavoro e della benedizione di Dio, ma spesso il risultato di imbrogli, di violazioni dei diritti dei piĆ¹ deboli.
AncheĀ i sapienti dāIsraeleĀ ne denunciano i rischi: āLa sazietĆ del ricco non lo lascia dormireā (Qo 5,11); āLāoro ha corrotto moltiā (Sir 8,2).
GesĆ¹Ā considera sia lāaviditĆ dei beni di questo mondo, sia la ricchezza onestamente guadagnata come ostacoli quasi insormontabili allāentrata nel regno dei Cieli. Lāinganno della ricchezza soffoca il seme della Parola (Mt 13,22), tende a conquistare progressivamente tutto il cuore dellāuomo e a non lasciare piĆ¹ alcuno spazio nĆ© per Dio nĆ© per il prossimo.
Beato ĆØ chi si fa povero, chi non si affanna piĆ¹ per quello che mangerĆ o berrĆ , chi non si preoccupa per il vestito e non sāinquieta per il domani (Mt 6,25-34).Ā Beato ĆØ chi condivideĀ tutto ciĆ² che possiede con i fratelli.
Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
āCristo, da ricco che era, si ĆØ fatto povero per arricchire noiā.
Prima Lettura (Am 6,1a.4-7)
CosƬ dice il Signore onnipotente:
1Ā āGuai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
4Ā Essi su letti dāavorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
5Ā Canterellano al suono dellāarpa,
si pareggiano a David negli strumenti musicali;
6Ā bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti piĆ¹ raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
7Ā PerciĆ² andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserĆ lāorgia dei buontemponiā.
Abbiamo visto domenica scorsa qual era la situazione economica e sociale in Israele al tempo di Amos. Cāerano benessere, pace, prosperitĆ , ma anche tante ingiustizie.
Il profeta ha alzato la voce contro i mercanti che estorcevano e truffavano i poveri. La lettura di oggi ci propone un altro brano dello stesso profeta e questa volta ad essere attaccati sono i capi politici e gli aristocratici che abitano in lussuosi palazzi āin pietra squadrataā (Am 5,11) nella cittĆ di Samaria (v.1).
Il contadino Amos non sopporta la vista di questi fannulloni che poltriscono, banchettano, organizzano feste e si sollazzano mentre i braccianti sfruttati faticano dallāalba al tramonto nei loro campi per una paga irrisoria. Amos, il pecoraio rude, abituato a dormire allāaddiaccio, sente ripugnanza per queste gozzoviglie.
La satira che fa dei crapuloni di Samaria ĆØ viva, efficace e dettagliata: hanno letti dāavorio, si sdraiano su soffici materassi, i loro cibi sono gustosi e prelibati, mangiano solo carni tenere di capretti e di vitelli che non hanno ancora assaggiato lāerba, che hanno succhiato soltanto latte (v.4). Suonano, danzano, si esibiscono come cantautori, sembrano voler competere con Davide (v.5). Bevono vini dei migliori e si ungono con profumi di alta qualitĆ e non si preoccupano della rovina che sta per colpire lāintera nazione (v.6).
La lettura si conclude conĀ una minaccia terribile: ancora pochi anni e verranno i nemici, gli Assiri, che bruceranno i palazzi e distruggeranno la cittĆ . I capi indolenti saranno strappati dai loro molli divani e saranno trascinati schiavi a Ninive. CosƬ finirĆ ā promette Amos ā lāorgia dei buontemponi (v.7). Parole terribili contro i ricchi e i potenti! Parole mai udite prima in Israele.
Seconda Lettura (1 Tm 6,11-16)
11Ā Tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietĆ , alla fede, alla caritĆ , alla pazienza, alla mitezza.Ā 12Ā Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
13Ā Al cospetto di Dio che dĆ vita a tutte le cose e di GesĆ¹ Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato,Ā 14Ā ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro GesĆ¹ Cristo,Ā 15Ā che al tempo stabilito sarĆ a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e signore dei signori,Ā 16Ā il solo che possiede lāimmortalitĆ , che abita una luce inaccessibile; che nessuno fra gli uomini ha mai visto nĆ© puĆ² vedere.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
Chi scrive a Timoteo, vescovo di Efeso, ĆØ preoccupato perchĆ© nelle comunitĆ cristiane si stanno infiltrando dei āfalsi maestriā che diffondono strane dottrine che fanno deviare i cristiani dalla veritĆ .
Nellāultima parte della lettera vengono descritti i vizi di queste persone: sono accecate dallāorgoglio, non comprendono nulla, perdono tempo in discussioni vane e, ciĆ² che ĆØ peggio, considerano la religione come una fonte di guadagno. Lāattaccamento al denaro ā dichiara ā āĆØ la radice di tutti i maliā (1 Tm 6,3-10).
A questo punto della lettera inizia il brano che ĆØ riportato dalla lettura di oggi. LāApostolo raccomanda a Timoteo di fuggire questi mali e di coltivare la giustizia, la pietĆ , la fede, la caritĆ , la pazienza e la buona disposizione nei confronti di tutti (v.11).
Questo elenco di virtĆ¹ ĆØ proposto ad ogni cristiano affinchĆ© rifletta sulla sua situazione spirituale. Ć soprattutto chi presiede una comunitĆ che deve meditare su di esse. I fedeli, infatti, guardano a lui come ad un modello da imitare.
Nellāultima parte della lettura (vv.12-16) lāautore ritorna di nuovo sul problema che piĆ¹ lo preoccupa: le false dottrine che possono infiltrarsi nella comunitĆ cristiana. Per questo scongiura Timoteo di conservare, irreprensibile e senza macchia, il Vangelo che gli ĆØ stato annunziato.
Vangelo (Lc 16,19-31)
In quel tempo GesĆ¹ disse ai farisei:
19Ā Cāera un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente.Ā 20Ā Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe,Ā 21Ā bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.
22Ā Un giorno il povero morƬ e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. MorƬ anche il ricco e fu sepolto.Ā 23Ā Stando nellāinferno tra i tormenti, levĆ² gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui.Ā 24Ā Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietĆ di me e manda Lazzaro a intingere nellāacqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perchĆ© questa fiamma mi tortura.
25Ā Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui ĆØ consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.Ā 26Ā Per di piĆ¹, tra noi e voi ĆØ stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, nĆ© di costƬ si puĆ² attraversare fino a noi.
27Ā E quegli replicĆ²: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre,Ā 28Ā perchĆ© ho cinque fratelli. Li ammonisca, perchĆ© non vengano anchāessi in questo luogo di tormento.Ā 29Ā Ma Abramo rispose: Hanno MosĆØ e i Profeti; ascoltino loro.Ā 30Ā E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrĆ da loro, si ravvederanno.Ā 31Ā Abramo rispose: Se non ascoltano MosĆØ e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasiā.
Cari poveri, in questo mondo la vostra vita ĆØ dura e, a volte, sembra davvero un inferno: abitate in baracche, soffrite la fame, vi coprite di stracci, siete pieni di piaghe. I ricchi invece dimorano in splendidi palazzi, sperperano denaro in feste, ville lussuose, vestono abiti firmati. Ma non prendetevela! Nellāaltro mondo le condizioni saranno capovolte: voi gioirete mentre essi soffriranno. Ć solo questione di avere un poā di pazienza e Dio tramuterĆ i loro piaceri in atroci tormenti!
Intesa cosƬ, la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro diviene āoppio del popoloā: serve a tenere buoni i poveri alimentando in loro il sogno di un avvenire migliore. Va bene anche ai ricchi i quali, senza angosciarsi troppo per lāinferno nellāaldilĆ , cominciano a godersi il paradiso nellāaldiqua.
Le grandi sperequazioni erano praticamente inconcepibili nellāantico Israele dove non era possibile arricchirsi a scapito degli altri. Allāarrivo dellāanno giubilare, infatti, tutto doveva tornare ai legittimi proprietari (Lv 25). Ma le leggi possono sempre essere aggirate e chi non ha paura dei castighi di Dio ha cominciato giĆ al tempo dei profeti adĀ aggiungere casa a casa e a unire campo a campoĀ (Is 5,8). Le piccole proprietĆ familiari sono state gradualmente assorbite dai latifondisti e le terre sono finite nelle mani di un gruppo sempre piĆ¹ ristretto di persone.
Al tempo di GesĆ¹ si attendeva un rovesciamento di questa situazione. Si diceva tra la povera gente: āUn giorno i potenti saranno consegnati nelle mani dei giusti; questi taglieranno loro la gola e li uccideranno senza pietĆ ā. āColoro che non valgono nulla domineranno sui potenti e i poveri regneranno sui ricchiā.
La parabola che leggiamo nel Vangelo di oggi ĆØ nata in questo contesto.
Per comprenderla cominciamo a identificare i personaggi.
Uno che non viene nominato: ĆØ colui che, nellāaltro mondo, a mettere a posto ciĆ² che in questo mondo non ĆØ andato bene, ĆØĀ Dio. I suoi pensieri e le sue decisioni sono posti sulla bocca diĀ AbramoĀ al quale, dunque, spetta il ruolo di protagonista.
Poi vieneĀ il riccoĀ che pure recita una parte importante: il suo dialogo con Abramo occupa due terzi del racconto (vv.24-31).
InfineĀ Lazzaro, che rimane sempre nellāombra. Non dice nemmeno una parola, non fa assolutamente nulla, non muove un dito, non fa un passo. Egli sta sempre seduto: in terra alla porta del ricco, in cielo in braccio ad Abramo e, durante il viaggio, ĆØ trasportato dagli angeli.
Se volessimo dareĀ un titolo alla parabola, sarebbe scorretto chiamarla: la parabola del povero Lazzaro (che non ĆØ il protagonista), oppure: la parabola del cattivo ricco. Il messaggio centrale del racconto riguardaĀ il giudizio di Dio sulla distribuzione della ricchezza nel mondo.
In nessunāaltra parabola GesĆ¹ assegna un nome ai personaggi. Solo in questa si dice cheĀ il povero si chiamava Lazzaro.
In questo mondo chi āha un nomeā? A chi sono dedicate le prime pagine dei giornali? Ai ricchi, a chi ha avuto successo. Per GesĆ¹ succede il contrario.
Per lui il ricco ĆØĀ un tale, mentre il povero ha un nome molto espressivo, si chiamaĀ LazzaroĀ che vuol direĀ Il Signore aiuta.
Dopo aver elencato i personaggi concentriamo lāattenzione su ognuno, cominciando dal ricco che ĆØ stato condannato, anche se, a dire il vero, non si capisce bene il perchĆ©. Non ha fatto niente di male: non si dice che rubasse, che non pagasse le tasse, che strapazzasse i suoi servi, che bestemmiasse, che fosse un dissoluto, che non fosse un religioso praticante.
Forse era insensibile ai bisogni degli altri, non aiutava i poveri e dunque commetteva un grave peccato di omissione. Ma anche questo non sembra vero: se Lazzaro stava alla sua porta e non andava da unāaltra parte, vuol dire che qualche briciola la rimediava. La condizione in cui veniva lasciato era disumana: doveva accontentarsi della mollica con cui i commensali si pulivano la dita (in quel tempo non si usavano posate) e il dettaglio dei cani conferisce un impareggiabile realismo alla scena.
E il ricco? Faceva la sua vita, gozzovigliava, si vestiva allāultima moda, ma sempre spendendo del suo. Dunque ā almeno secondo il modo corrente di pensare e di giudicare ā aveva un comportamento morale ineccepibile.
Del resto quando Abramo gli nega la goccia dāacqua, non gli rinfaccia alcuna colpa. Si limita a ricordargli che egli ĆØ stato ricco e in terra ha goduto, mentre Lazzaro ha sofferto. Poi in cielo le cose si sono capovolte. Ma non viene spiegato il perchĆ©. Meglio dunque non parlare del ācattivo riccoā.
CāĆØ chi tende a demonizzare i ricchi, a considerarli sempre e comunque colmi di nequizia e ad esaltare i poveri, erigendoli a modelli di ogni virtĆ¹. Lazzaro ne sarebbe il prototipo, lāideale.
Ma siamo cosƬ sicuri che Lazzaro fosse buono? Cosa ha fatto per meritarsi il paradiso? Nulla. Lo abbiamo notato: durante tutta la sua vita non ha mosso un dito. Non si dice che era umile e educato, che andava a pregare nella sinagoga, che era stato un padre di famiglia laborioso ed esemplare e che era diventato povero perchƩ colpito dalla sventura. Chi ci assicura che non fosse un fannullone, uno che aveva sperperato tutti i suoi beni? E le sue piaghe, non potrebbero essere la conseguenza di malattie contratte con una vita dissoluta? Di lui si sa solo che sulla terra era povero e che la sua situazione era poi cambiata. Ma non ne viene spiegata la ragione.
Che dire infine dellāatteggiamento di Abramo?
A nessuno di noi ā credo ā questo personaggio risulta simpatico. In Israele si riteneva che egli, essendo il padre del popolo e lāamico di Dio (Dn 3,35), potesse, con la sua intercessione, togliere i suoi figli perfino dallāinferno. Bene, egli nega una goccia dāacqua ad un povero disgraziato. Si puĆ² essere a tal punto senza cuore? Il ricco manifesta sentimenti migliori: pur nei tormenti, si preoccupa dei suoi fratelli.
Mettendo insieme tutti questi elementi possiamo giĆ trarre una prima conclusione: la parabola non vuole dare un giudizio sul comportamento morale del ricco e del povero. Non vuole dire che chi si comporta bene va in paradiso e chi fa il male va allāinferno, perchĆ© ā risulta chiaro ā il ricco non ha commesso colpe e Lazzaro non ha compiuto opere buone.
E allora? Semplice: vuol dire che la parabola ha un altro messaggio. Cerchiamo di approfondire.
NellāantichitĆ circolavano storie simili alla nostra, dove i ricchi andavano sempre a finir male. Si raccontava ad esempio di un ricco che aveva sfruttato i poveri e che, dopo la sua morte, era stato cacciato nel luogo del castigo. LƬ era stato collocato sotto una porta e gli era stato infilato nellāocchio il chiodo sul quale la porta ruotava, cosƬ, ogni volta che qualcuno entrava o usciva, lui pativaā¦ le pene dellāinferno.
I predicatori del tempo di GesĆ¹ usavano spesso tali immagini colorite; parlavano volentieri di castighi crudeli perchĆ© erano convinti che queste minacce servissero a far rinsavire le persone.
Anche GesĆ¹ usava queste immagini, comprese quelle terribili: parlava di banchetti, di corsi dāacqua fresca, ma anche di fiamme che torturano, di stridore di denti e di un invalicabile abisso che separa i giusti dai malvagi (v.26). Si tratta delle classiche immagini create dalla fervida fantasia degli Orientali per rappresentare lāaldilĆ . Sarebbe ingenuo ricavarne conclusioni teologiche riguardo allāinferno, ai castighi e al fuoco eterno e sarebbe del tutto fuorviante attribuire a Dio il comportamento severo, spietato, quasi crudele di Abramo nei confronti di un peccatore pentito.
Il āgrande abissoā vuole solo ricordare al discepolo una veritĆ fondamentale, questa: il destino dellāuomo si gioca tutto in questāunica, irrepetibile vita.
Veniamo al messaggio della parabola.
Abbiamo una distinzione che a molti pare logica e naturale, quella fra ricchi buoni e ricchi cattivi: viene cosƬ mantenuta la convinzione che possano continuare ad esistere in questo mondo le disuguaglianze e che lo straricco possa convivere accanto al miserabile, a patto che non rubi e che faccia elemosine.
Ć proprio questo modo di pensare che GesĆ¹ considera pericoloso. Ć questa convinzione che egli vuole demolire. Nella parabola egli parla di un ricco che viene condannato non perchĆ© cattivo, ma semplicemente perchĆ© era ricco, cioĆØ, perchĆ© si chiudeva nel suo mondo e non accettava la logica della condivisione dei beni.
GesĆ¹ vuole fare capire ai discepoli che lāesistenza in questo mondo di due classi di persone ā i ricchi e i poveri āĀ ĆØ contro il progetto di Dio. I beni sono stati dati per tutti e chi ne ha di piĆ¹ deve condividerli con coloro che ne hanno di meno o non hanno nulla, in modo che ci sia uguaglianza (Cf. 2 Cor 8,13). CosƬ, prima che qualcuno possa concedersi il superfluo, ĆØ necessario che tutti abbiano soddisfatto i bisogni piĆ¹ elementari.
Commentando questa parabola, SantāAmbrogio diceva: āQuando tu dai qualcosa al povero, non gli offri ciĆ² che ĆØ tuo, gli restituisci soltanto ciĆ² che ĆØ giĆ suo, perchĆ© la terra e i beni di questo mondo sono di tutti, non dei ricchiā.
Lāultima parte della parabolaĀ (vv.27-31) sposta lāattenzione sui cinque fratelli del ricco che continuano a vivere in questo mondo e che corrono il rischio di rovinarsi facendo cattivo uso dei beni. Rappresentano i discepoli delle comunitĆ cristiane (il numero cinque indica tutto il popolo dāIsraele) i quali sono tentati di attaccare il cuore alla ricchezza.
Come possono essere distolti dalla seduzione che essa esercita in modo cosƬ irresistibile? Il ricco epulone ha una sua proposta e la ripete con insistenza, per due volte, perchĆ© gli pare lāunica capace di raggiungere lāobiettivo, di provocare la conversione, di portare al ravvedimento dei cinque fratelli. Supplica il padre Abramo di far giungere prodigiosamente ā mediante una visione o un sogno ā un messaggio dallāoltretomba.
La risposta di Abramo a questa fiducia nella capacitĆ persuasiva dei miracoli ĆØ ferma e chiara: lāunica forza capace di staccare il cuore del ricco dai suoi beni ĆØ la parola di Dio. āMosĆØ e i Profetiā era la formula con cui, al tempo di GesĆ¹, si indicava tutta la sacra Scrittura. Solo questa Parola puĆ² compiere il prodigio di fare entrare un ricco nel regno dei cieli. SƬ, perchĆ© occorre proprio un miracolo, un miracolo difficile quanto quello di far passare un cammello attraverso la cruna di un ago (Lc 18,25). Chi non si lascia scalfire dalla parola di Dio ĆØ certamente impermeabile e refrattario a qualunque altra argomentazione.
AUTORE: p. Fernando Armellini
FONTE: per gentile concessione di Settimana News