DUE GIOVANNI DALLA TESTA INCLINATA
Giovanni l’evangelista è detto “il Teologo” dai padri orientali. Suo simbolo è l’aquila, quella che vola sopra gli altri, che va più in alto e più lontano.
Ciò che abbiamo udito e visto, ciò che abbiamo toccato, cioè il Verbo della vita, questo vi annunciamo (cf. 1Gv 1,1-3).
La fede è un’esperienza e una relazione. Non teorie, non pensieri, ma un fatto oggettivo, che arriva da fuori.
È la narrazione di un evento, il racconto di una storia che li ha rovesciati tutti come un guanto, cambiando loro la vita. Gesù non è venuto a portare un nuovo sistema di pensiero, ma a far nascere il desiderio di più intensa vita alla mente, al cuore, allo spirito; ai sensi e alle mani.
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Tu solo hai parole che fanno viva finalmente la vita (cf. Gv 6,68), confesserà Pietro.
Vita è la parola che corre sotto tutte le altre parole della Bibbia.
«Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
La vita cristiana non è sacrificio, ma addizione, accrescimento, intensificazione di vita.
Non chiede mortificazioni, offre vivificazione: più Dio in me equivale a più io.
Più Vangelo in me equivale a più umanità, perché il Vangelo contiene l’alfabeto della vita.
In avvento siamo accompagnati da Giovanni il Battista.
Dopo Natale da Giovanni l’Evangelista.
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Giovanni del Giordano e Giovanni del lago.
Giovanni delle acque e Giovanni dell’inchiostro.
Quello con la testa buttata sul piatto di Erodiade e quello con il capo posato sul petto di Gesù.
Giovanni è l’apostolo amato, quello che Gesù amava. Non è l’apostolo che ama di più. Quello probabilmente è Pietro, capace di sguainare la spada per difendere Gesù, capace di buttarsi nudo nel lago per raggiungere la riva, dove ha intuito presente Gesù.
Giovanni invece è oggetto dell’amore, investito dell’amore di preferenza di Cristo.
E ci indica l’importanza dell’amore passivo, la bellezza, la potenza e la forza del lasciarsi amare, perché chi ti ama ti lascia una forza unica. Il lasciarsi amare è carico di rivelazioni.
Arriva per primo al «sepolcro vuoto», arriva per primo a capire il significato della risurrezione. Di lui, non di Pietro, è detto che vide e credette, perché l’amore è sempre originale, è sempre speciale e non ama il copia-incolla.
É Giovanni a inventare la definizione più alta: «Dio è amore» (1Gv 4,8). E prima: «Dio è luce» (1Gv 1,5).
Davanti al crocifisso, o al presepio, si va per lasciarci guardare nella debolezza, lasciarci guarire, lasciarci amare.
Tutti siamo come Giovanni, discepoli che lui ama, e ciascuno è il prediletto di Dio. Siamo i preferiti di Dio. Per questo tu lo puoi anche lasciare, ma lui non ti lascerà mai. Impariamo a lasciarci amare, a sentire nel profondo la melodia di una canzone che dice: e io avrò cura di te, perché sei un essere speciale.
Per gentile concessione di p. Ermes, fonte.