LA MEMORIA DELL’INCANDESCENZA
Commento al Vangelo di Lc 24,13-35.
Non ci bruciava forse il cuore…?
Dono favoloso,
sentire il cuore ardere,
vivere accesi.
Dono intermittente, però.
Una sera un gruppo di giovani chiese al card. Martini:
“padre, quando ci troviamo a pregare assieme,
in ascolto della Parola,
tra noi e con lei,
ci sentiamo carichi,
entusiasti.
Poi si torna a casa e
pian piano tutto si spegne.
Come si fa per conservare il cuore acceso?
Il cardinale rispose: ragazzi, non si può conservare sempre l’incandescenza del cuore. Ma una cosa sì,
è possibile conservarla:
la memoria dell’incandescenza.
La memoria di quei momenti in cui
il cuore bruciava.
Per grazia ricevuta.
Tutto era cominciato sulla strada da Gerusalemme
a Emmaus, quando Gesù
si era avvicinato e camminava con i due discepoli, come aveva fatto per tre anni in Galilea.
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Ed è, come allora,
tutto un parlare, confrontarsi, insegnare, imparare, discutere,
lungo almeno ore di strada. Ma tutte le spiegazioni non sarebbero bastate per riconoscere Gesù.
Giunti a Emmaus
Gesù mostra di voler “andare più lontano”.
Come un senza fissa dimora,
un Dio migratore,
lui va per spazi liberi
e aperti che appartengono a tutti, come la strada.
Ma i due lo invitano
a restare.
Hanno fame di parola,
di compagnia, di casa:
Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno sta per finire.
Lo invitano in una maniera così delicata che par siano loro a chiedere ospitalità.
Ed entrano in casa:
non è detto niente di essa, perché possa essere la casa di tutti.
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La strada e la casa,
sono questi i due luoghi preferiti da Gesù
per il suo insegnamento
e per i suoi gesti
di salvezza.
La strada dove sei
più libero,
la casa dove sei più vero.
Il racconto ora
si raccoglie attorno
al profumo del pane
e alla tavola,
fatta per radunare tanti attorno a sé,
per essere circondata da ogni lato di commensali, per collegarli tra loro:
gli sguardi che si cercano,
si incrociano, si fondono,
e ci si nutre
gli uni degli altri,
di intese e di amicizia.
Lo riconobbero
allo spezzare del pane. Profumo di pane
sulla tavola,
tra tutti i cibi il più evidente ed eloquente.
Buono con tutto
e buono da solo.
Lo riconobbero non perché quello fosse un gesto esclusivo e inconfondibile di Gesù – era compito di ogni padre spezzare il pane ai propri figli –
chissà quante volte l’avevano fatto anche loro, magari in quella stessa stanza, ogni volta che la sera scendeva su Emmaus.
Ma tre giorni prima,
il giovedì sera,
era accaduto qualcosa
che non avevano dimenticato:
si era dato un corpo
di pane e
lo aveva dato da mangiare, questo è il mio corpo, prendete e mangiate.
Lo riconobbero perché spezzare e consegnarsi contiene il segreto del vangelo:
Dio è pane che
si consegna alla fame dell’uomo. Si dona,
nutre e scompare.
E accende la vita: “abbiamo mangiato il fuoco nel pane” (Efrem il Siro).