p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di giovedì 17 aprile 2025

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I giorni della Settimana Santa non sono un lunedì, un martedì o mercoledì qualsiasi, ma noi li chiamiamo santi perché sono i giorni del nostro destino, i giorni supremi della storia dell’umanità. E insieme percorreremo i quattro giorni conclusivi, per essere accompagnati anche noi attraverso l’esperienza di Gesù, essere accompagnati alla trasformazione, alla risurrezione, alla luce.

Giovedì santo
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Giovedì Santo. I simboli del Giovedì Santo sono quelli principali, almeno sono la lavanda dei piedi e il pane. L’Ultima Cena non ha niente di romantico. È il momento in cui Gesù passa per il fuoco, come un pane nel forno. Anche lui passa per il fuoco. Il momento in cui tutto è esploso e tutto sembra finito. Eppure lava loro i piedi anziché rimandarli a casa, perché non hanno capito, perché non sono all’altezza. Anziché rimandarli al lago, alle barche, al banco, si inventa qualcosa di inedito: la lavanda dei piedi.

Qualcosa però che lui aveva accolto su di sé da quella donna che l’aveva lavato con le sue lacrime, asciugato con i suoi capelli, profumato con un unguento che costava quanto il salario di un anno di un operaio. E Gesù, all’Ultima Cena, imita i gesti di quella donna. Dio e l’uomo si incontrano negli stessi gesti, perché quando l’uomo ama compie gesti divini, quando Dio ama compie gesti molto umani.

La lavanda dei piedi è in qualche modo la vendetta di Dio, perché Dio si vendica di tutta la nostra lontananza, di tutte le nostre fughe, e lo fa prendendo in mano i piedi dei discepoli, nel gesto dello schiavo o della donna. E sono i piedi di gente stanca, di gente nomade, di gente claudicante, che è fuggita e che fuggirà ancora.

Eppure è come se Gesù dicesse: “Io non chiedo, io dono.” Non sono venuto a chiedere, sono venuto a portare. Non sono il padrone, ma il servo che ti aiuta. Non andartene, non lasciarmi mai, non fuggire. E chi è Dio? Dio è il tuo lavapiedi. E questo è lo scandalo.

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E a noi viene da dire come a Pietro: “Ma Signore, ma tu sei tutto matto! Un Messia non può fare così.” E lui a rispondere: “Io invece sono il tuo servitore, colui che al tuo ritorno ti abbraccia, colui che ti lava i piedi per preparare la festa.”

Altro commento

GESÙ É BACIO A CHI LO TRADISCE

In quell’ultimo giovedì,
al tramonto,
Gesù pronuncia
parole terribili
su del pane e del vino.

Parla di un corpo spezzato,
di sangue versato.
Di un uomo consegnato.

Cosa è stata la vita di Gesù se non un continuo e appassionato consegnarsi?

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Neppure il suo corpo ha tenuto per sé: “prendete e mangiate”.
Neppure il suo sangue:
“prendete e bevete tutti”.

Sera del tradimento,
che inizia con l’abbraccio degli amici e termina in catene.

Sera dell’abbandono: e, abbandonatolo,
fuggirono tutti.

È difficile immaginare una celebrazione dell’amore più realistica dell’Ultima cena.
Non ha niente di romantico,
è uno scontro con la complessità dell’amore, con i suoi conflitti e la sua vittoria finale.

È il momento della crisi,
quando Gesù passa per il fuoco.
Il momento in cui tutto è esploso,
tutto sembra finire.

Dice ai suoi discepoli semplicemente e liberamente
•che è arrivata la fine,
•che uno di loro lo ha tradito,
•che Pietro lo rinnegherà,
•che gli altri fuggiranno, nella notte, ingoiati dalla paura.

Eppure lava loro i piedi.

Volete sapere qualcosa di voi e di me?
dice Gesù a discepoli e discepole di ogni tempo
Vi do un appuntamento:
uno che è posto in basso.
Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi.

Li lava perfino a Giuda,
che lo tradisce.

Chi è Dio? Il mio lavapiedi.
In ginocchio davanti a me.
Le sue mani sui miei piedi.
Davvero, come a Pietro,
ci viene da dire: no,
un Dio non può fare così.
Tu sei tutto matto, Signore!

E Lui:
sono come lo schiavo
che ti aspetta,
e al tuo ritorno
ti lava i piedi.

Ha ragione Paolo:
il cristianesimo è scandalo e follia.

Questi sono i giorni della “vendetta di Dio”,
quando si vendica delle nostre fughe inginocchiandosi ai nostri piedi.

Si vendica della nostra superficialità
entrando nel più profondo di ognuno,
come pane.

Adesso capiamo chi è
Gesù: è bacio a chi lo tradisce.

Non spezza nessuno, spezza se stesso.
Non versa il sangue di nessuno,
versa il proprio sangue.
Non sacrifica nessuno,
sacrifica se stesso.

Gesù, non ha fuggito la crisi,
l’ha affrontata.
Ha preso il tradimento,
il fallimento dell’amore,
l’incomprensione dei suoi,
e invece di giudicare,
accusare,
rimproverare,
invece di rimandarli a casa, al lago, al banco,
alle barche,
perché non hanno capito,
non ce la fanno,
inventa qualcosa di inedito per educarli ancora,
per aiutarli ancora a capire, per farli salire, su verso il suo sogno (Marina Marcolini).

Avrebbe potuto lasciarli lì, ricominciare altrove.
Invece ha rilanciato la posta.

Voi mi consegnate perché mi uccidano e io mi consegno a voi.

Quando non ci sarò più potrete ancora mangiare e bere di me.

Immensa vulnerabilità dell’atto d’amore.
Bello è chi ti ama. Bellissimo è chi ti ama fino all’estremo.

Inizia l’ultima notte,
•notte di preghiera senza risposte,
•di amici che invece di vegliare dormono,
ed erano i tre preferiti.

Notte del traditore chiamato “amico”
e della cattura:

allora tutti lo abbandonarono e fuggirono.

Tutti per tutt’altra strada.
Via da quell’uomo pericoloso,
da quel reprobo.

Dimenticati gli anni del gioioso e libero vagabondare lungo il lago,
e il pane nelle ceste che non finiva mai.

Adesso basta illusioni,
troppo rischioso stare con lui.
Infatti, bastano poche ore ed è già tutto finito.

Per gentile concessione di p. Ermes. Fonte.

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