HomeVangelo della Domenicap. Ermes Ronchi - Commento al Vangelo di domenica 4 Febbraio 2024

p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 4 Febbraio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 1, 29-39

Gesù apre le sue porte al dolore del mondo

È il report di una giornata-tipo di Gesù, scandita dall’alternarsi di tre cose: annunciare, guarire, pregare. Cafarnao è il primo laboratorio del Regno, dove il mondo di Dio si misura con il mondo del dolore. Nella bibbia il futuro inizia sempre, come qui, dalle paludi.

Marco inanella le tre location preferite del Maestro: la strada (Gesù si reca), la casa (di Simone), la folla. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Subito. Fa tenerezza questo preoccuparsi di Simone e Andrea delle loro vicende familiari e metterne a parte Gesù, come si fa con gli amici stretti. Tutto ciò che occupa il cuore dell’uomo entra nel rapporto con Dio.

Egli si avvicinò. Il primo verbo bellissimo, rivelatore: Gesù non sopporta distanze e mostra il suo primo annuncio in atto: il regno si è fatto vicino ( Mc 1,15). Si avvicinò e la prese per mano. Potenza umile dei gesti: mano nella mano, una donna e Dio.

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Una mano è fatta per innalzarsi in un gesto di invocazione, per stringere altre mani in segno di amicizia o di aiuto, per accarezzare e per proteggere, per ricevere e per dare.

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Altro commento di fra Ermes

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QUELLA MANO COME UN FIORE

Non cerchiamo di fronte al dolore innocente risposte che non ci sono, ma cerchiamo i gesti di Gesù: che ascolta, si avvicina, si accosta, prende per mano e “rialza”. È il verbo della risurrezione. 

Se non ci fosse il male sulla terra, chi penserebbe a Dio? (Simon Weil).

Una giornata a Cafarnao, Gesù immerso nella folla, assediato da un crescendo turbinoso di malattie e demoni che si acquieta nella preghiera segreta, sul monte.

Dopo il tramonto, finito il sabato con i suoi 1521 divieti, tutto il dolore di Cafarnao si riversa sulla casa di Simone: la città intera era davanti alla porta, davanti a Gesù che ama le porte aperte di Dio, che fa entrare occhi e fiori di stelle, polline di parole e il rischio della vita, del dolore e dell’amore.

La suocera di Simone era a letto con la febbre, e subito gli parlarono di lei. Miracolo così povero di contorno e di pretese, così poco vistoso, dove Gesù neppure parla. Parlano i gesti.

Non cerchiamo di fronte al dolore innocente risposte che non ci sono, ma cerchiamo i gesti di Gesù: che ascolta, si avvicina, si accosta, prende per mano e “rialza”. È il verbo della risurrezione. Gesù alza, eleva, fa sorgere la donna alla sua andatura eretta, alla fierezza del fare e del prendersi cura, e quella casa dalla vita bloccata si rianima, e l’anziana si mette a servire con la cura e la leggerezza degli angeli nel deserto, quando come madri custodivano Gesù dopo le insidie del male.

Quante cose contiene una mano. Un gesto così può sollevare una vita!

Questo miracolo dimesso e senza parole ci invita a smetterla con l’ansia contro le nostre febbri interiori. E quelle guarigioni compiute dopo il tramonto, quando iniziava il nuovo giorno, raccontano un mondo al ritmo della Genesi: e fu sera e fu mattino, miracolo della vita guarita e incamminata verso la sua fioritura.

Un apologo famoso dice: un uomo vede un bambino che muore di fame, e grida al cielo: “Dio, che cosa fai per lui?” E una voce risponde: “io, per lui, ho fatto te!”. Solidarietà è l’inizio della guarigione.

Quando era ancora buio, uscì in un luogo segreto e là pregava. Gesù, pur assediato, sa inventarsi spazi segreti nella notte. Un giorno e una sera per pensare all’uomo, una notte e un’alba per pensare a Dio. Perché ci sono nella vita sorgenti segrete, alle quali accostare le labbra. E la prima delle sorgenti è Dio. Simone lo rincorre, lo cerca, lo trova: «cosa fai qui? Sfruttiamo il successo, Cafarnao è ai tuoi piedi». Ma Gesù destruttura le attese di Pietro e le nostre illusioni: andiamo altrove! E se ne va per altri villaggi, in cerca del male di vivere, a sollevare altra vita. Verso un altrove che non sappiamo, che un po’ mi seduce e un po’ mi impaurisce, ma al quale affido ogni giorno la speranza accostando la mia mano a quel fiore profumato che è la tua, Signore, a quella mano che non hai mai cessato di tendermi, per sollevami.

Uomo e Dio, l’Infinito e il mio nulla così: mano nella mano a cui aggrapparmi forte per essere trasfigurato e rialzato, icona mite e profumata della buona novella.

Fonte

Inciampare in una stella – Meditazioni sui vangeli dal 17 dicembre al 6 gennaio

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