Gesù, “felice rovina” di ciò che non è amore
Ed erano stupiti del suo insegnamento. Lo stupore: esperienza felice che ci sorprende e scardina gli schemi, che si inserisce come una lama di libertà in tutto ciò che ci saturava: rumori, parole, schemi mentali, abitudini, che ci fa entrare nella dimensione creativa della meraviglia che re-incanta la vita.
La nostra capacità di provare gioia è direttamente proporzionale alla nostra capacità di meravigliarci. Salviamo allora lo stupore, la capacità di incantarci ogni volta che incontriamo qualcuno che ha parole che trasmettono la sapienza del vivere, che toccano il nervo delle cose, perché nate dal silenzio, dal dolore, dal profondo, dalla vicinanza al Roveto di fuoco.
Gesù insegnava come uno che ha autorità. Autorevoli sono soltanto le parole che alimentano la vita e la portano avanti; Gesù ha autorità perché non è mai contro ma sempre in favore dell’umano. E qualcosa, dentro chi lo ascolta, lo avverte subito: è amico della vita. Autorevoli e vere sono soltanto le parole diventate carne e sangue, come in Gesù, in cui messaggio e messaggero coincidono. La sua persona è il messaggio.
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Altro commento di fra Ermes…
AMANTE AUTOREVOLEZZA
Nel conflitto tra il nostro cuore d’ombra e la nostra parte di luce, Cristo entra con mani e occhi nuovi, lievito che solleva l’inerzia, respiro che dilata, vento che sospinge sulla rotta del mondo.
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Nella sinagoga di Cafarnao, quel giorno, ha luogo un primo miracolo. Un indemoniato sta pregando nella comunità, è un habituè del sabato. Ne aveva ascoltate di prediche, perché si può passare tutta una vita andando ogni domenica in chiesa, pregare e ascoltare la Parola, e pur mantenere uno spirito malato, un’anima lontana che non si lascia raggiungere. Si può vivere tutta la vita come cristiani della domenica, ma senza mai farsi toccare dalla Parola di Dio.
Non lontano, non fuori, ma dentro alla comunità, anzi nell’intimo, dai nostri oceani interiori si alza la voce dei nostri dèmoni oscuri, delle ombre che invecchiano il cuore.
Che vuoi da me? Qui è il primo elemento di una fede ipocrita: io so che Cristo vuole qualcosa da me, che vuole entrare nelle mie parole, nelle mie mani, nei miei occhi, nel mio andare e nel mio venire, ma io lo rifiuto, non voglio conversioni, né brecce aperte nelle mura del mio mondo.
Primo segno di un credere stonato: fede senza sapore di pane, di vino buono, di lavoro, di carezze, di scelte concrete e condivisioni. Fede di sole parole.
Secondo elemento: Sei venuto a rovinarci? Fede con dentro un dèmone è quella che sente Dio come un predatore di libertà. Che lo immagina come colui che toglie, non come colui che dona; un Moloch cui si è tenuti a immolare la parte migliore di se stessi.
Il credente abitato da uno spirito impuro si sente figlio di una sottrazione, anziché di una addizione del vivere.
E ancora: l’uomo di Cafarnao frequenta il luogo sacro, recita le benedizioni e lo Shemà Israel, eppure, nonostante questo, in lui abita un demone che accetta solo la fede del sabato, quella limitata al sacro e alle proprie devozioni. Il Dio vero invece è da sorprendere nella vita più che nel tempio, nella polvere della strada che da Gerusalemme scende a Gerico, più che nel fumo degli incensi. L’autorevolezza di quel Dio sposa tutto ciò che sa di amore.
I demoni se ne accorgono, e fiutano il pericolo: che c’è fra noi e te Gesù di Nazaret? Sei venuto a rovinarci? Sì, Gesù è venuto a rovinare tutto ciò che impoverisce o ferisce l’intimo dell’uomo. A rovinare il regno degli idoli: i demoni del denaro, della supremazia, del potere e degli egoismi. E su tutto questo la sua voce si alza nitida e forte. Contro di loro Gesù pronuncia due sole parole: taci, esci da lui.
Nel conflitto tra il nostro cuore d’ombra e la nostra parte di luce, Cristo entra con mani e occhi nuovi, lievito che solleva l’inerzia, respiro che dilata, vento che sospinge sulla rotta del mondo.
Tace e se ne va questo mondo sbagliato; va in rovina, come aveva sognato Isaia, perché nasca un mondo altro. Vanno in rovina le strategie di guerra per diventare campi di solidarietà. Tacciono le bombe, ed ecco rifiorire l’erba.