La pace del Signore scende sulle nostre paure
Aria di paura in quella casa. Paura dei Giudei ma anche di se stessi, della propria viltà, di come si erano comportati nella notte del tradimento. Sembra che manchi l’aria.
Eppure Gesù viene, nonostante il loro e il mio cuore inaffidabile: e stette in mezzo a loro. Mi conforta pensare che se trova chiuso lui non se ne va; se tardo ad aprire, otto giorni dopo è ancora lì. Shalom, ha detto, saluto biblico che significa molto più della pace come semplice fine delle violenze, indica la forza dei miti e dei nonviolenti dentro la logica del più armato, la luce dei puri di cuore dentro la nebbia delle astuzie, la serenità dei giusti nelle ingiustizie, la perseveranza degli onesti fra le disonestà.
Soffiò e disse: ricevete lo Spirito Santo. Su quel pugno di creature, chiuse e impaurite, scende il vento delle origini, il vento che soffiava sugli abissi, il vento sottile dell’Oreb su Elia profeta, quello che scuoterà le porte chiuse del cenacolo: ecco io vi mando! «Se non vedo e non tocco, non crederò». Povero, caro Tommaso, diventato addirittura proverbiale! Vuole delle garanzie, e ha ragione, perché se Gesù è vivo tutta la sua vita ne uscirà rovesciata.
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Gesù si avvicina alla nostra lentezza del credere con pochi, semplici verbi: guarda, metti, tocca. […] Continua a leggere tutto il testo di questo commento su Avvenire
Altro commento di p. Ermes
FUOCO NEL PANE
Non ci bruciava forse il cuore…? Dono favoloso, sentire il cuore ardere, vivere accesi. Dono intermittente, però. Una sera un gruppo di giovani chiese al card. Martini: padre, quando ci troviamo a pregare assieme, in ascolto della Parola, tra noi e con lei, ci sentiamo carichi, entusiasti. Poi si torna a casa e pian piano tutto si spegne. Come si fa per conservare il cuore acceso? Il cardinale rispose: ragazzi, non si può conservare sempre l’incandescenza del cuore. Ma una cosa sì, è possibile conservarla: la memoria dell’incandescenza. La memoria di quei momenti in cui il cuore bruciava. Per grazia ricevuta.
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Tutto era cominciato sulla strada da Gerusalemme a Emmaus, quando Gesù si era avvicinato e camminava con i due discepoli, come aveva fatto per tre anni in Galilea. Ed è, come allora, tutto un parlare, confrontarsi, insegnare, imparare, discutere, lungo almeno ore di strada. Ma tutte le spiegazioni non sarebbero bastate per riconoscere Gesù.
Giunti a Emmaus Gesù mostra di voler “andare più lontano”. Come un senza fissa dimora, un Dio migratore, lui va per spazi liberi e aperti che appartengono a tutti, come la strada. Ma i due lo invitano a restare. Hanno fame di parola, di compagnia, di casa: Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno sta per finire. Lo invitano in una maniera così delicata che par siano loro a chiedere ospitalità. Ed entrano in casa: non è detto niente di essa, perché possa essere la casa di tutti. La strada e la casa, sono questi i due luoghi preferiti da Gesù per il suo insegnamento e per i suoi gesti di salvezza. La strada dove sei più libero, la casa dove sei più vero.
Il racconto ora si raccoglie attorno al profumo del pane e alla tavola, fatta per radunare tanti attorno a sé, per essere circondata da ogni lato di commensali, per collegarli tra loro: gli sguardi che si cercano, si incrociano, si fondono, e ci si nutre gli uni degli altri, di intese e di amicizia.Lo riconobbero allo spezzare del pane. Profumo di pane sulla tavola, tra tutti i cibi il più evidente ed eloquente. Buono con tutto e buono da solo.
Lo riconobbero non perché quello fosse un gesto esclusivo e inconfondibile di Gesù – era compito di ogni padre spezzare il pane ai propri figli – chissà quante volte l’avevano fatto anche loro, magari in quella stessa stanza, ogni volta che la sera scendeva su Emmaus. Ma tre giorni prima, il giovedì sera, era accaduto qualcosa che non avevano dimenticato: si era dato un corpo di pane e lo aveva dato da mangiare, questo è il mio corpo, prendete e mangiate.
Lo riconobbero perché spezzare e consegnarsi contiene il segreto del vangelo: Dio è pane che si consegna alla fame dell’uomo. Si dona, nutre e scompare. E accende la vita: “abbiamo mangiato il fuoco nel pane” (Efrem il Siro)
AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK