p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 20 Novembre 2022

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Il Signore è dentro al nostro dolore

Sul Calvario, fra i tre condannati alla stessa tortura, Luca colloca l’ultima sua parabola sulla misericordia. Che comincia sulla bocca di un uomo, anzi di un delinquente, uno che nella sua impotenza di inchiodato alla morte, spreme, dalle spine del dolore, il miele della compassione per il compagno di croce Cristo.

E prova a difenderlo in quella bolgia, e vorrebbe proteggerlo dalla derisione degli altri, con l’ultima voce che ha: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena? Parole come una rivelazione per noi: anche nella vita più contorta abita una briciola di bontà; nessuna vita, nessun uomo sono senza un grammo di luce.

Un assassino è il primo a mettere in circuito lassù il sentimento della bontà, è lui che apre la porta, che offre un assist, e Gesù entra in quel regno di ordinaria, straordinaria umanità. Non vedi che patisce con noi? Una grande definizione di Dio: Dio è dentro il nostro patire, crocifisso in tutti gli infiniti crocifissi della storia, naviga in questo fiume di lacrime. La sua e nostra vita, un fiume solo. “Sei un Dio che pena nel cuore dell’uomo” (Turoldo).

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Un Dio che entra nella morte perché là entra ogni suo figlio. Per essere con loro e come loro. Il primo dovere di chi vuole bene è di stare insieme a coloro che ama.Lui non ha fatto nulla di male. Che bella definizione di Gesù, nitida, semplice, perfetta: niente di male, a nessuno, mai. Solo bene, esclusivamente bene. Si instaura tra i patiboli, in faccia alla morte, una comunione più forte dello strazio, un momento umanissimo e sublime: Dio e l’uomo si appoggiano ciascuno all’altro.  […] Continua a leggere tutto il testo di questo commento su Avvenire


TI PORTO CON ME

In quel bandito egli raggiunge tutti noi, consacrando la dignità di ognuno nella sua decadenza, nel suo limite più basso. L’uomo è sempre amabile per Dio. Proprio di Dio è amare perfino l’inamabile.

Cristo re dell’universo, proclama la liturgia. Ma dov’è il suo regno, dov’è mai la terra come Lui la sogna, la nuova architettura del mondo e dei rapporti u­mani? E soprattutto, che Dio è questo che lascia morire il suo Messia?

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Nell’ultima domenica al suo vangelo dedicata, Luca ci guida verso il tesoro della regalità nel luogo più inadatto, nel piccolo spazio della croce.

Il crocifisso è signore appena di quel poco di legno e terra che basta per morire, dove un malfattore, appeso come lui, gli chiede solo di non essere dimenticato, e Gesù invece lo prende con sé.

In quel bandito egli raggiunge tutti noi, consacrando la dignità di ognuno nella sua decadenza, nel suo limite più basso. L’uomo è sempre amabile per Dio. Proprio di Dio è amare perfino l’inamabile.

Non ha meriti da vantare il ladro. Non sa che Dio non si merita, si accoglie. Non sa che la sua giustizia va ben oltre le buone o le cattive azioni. Ai suoi occhi appare un re giustiziato con una de­risoria corona di spine, ma che muore aman­do ostinatamente; un re che si può perfino ri­fiutare, e il ladro dal cuore buono ne intuisce lo sguardo posato per sempre su di noi, anche da lontano.

E gli si accostavano per dargli da bere aceto. Il vino nella Bib­bia è simbolo d’amore, l’aceto è il suo contrario, il simbolo dell’odio. Tutti lì attorno odia­no quell’uomo, lo deridono. Di cosa hanno bisogno questi che uccidono? Di u­na condanna più severa, del­la pena di morte? No, hanno bisogno di un supplemento d’amore. E Dio si mette in gio­co.

Il malfattore intuisce in quel cuore pulito il primo passo di una storia diversa, intravede un altro modo di essere uomini e l’annuncio di un mondo capace di perdono, di giustizia vera, di pace.

Costui non ha fatto nulla di male! Bella definizione di Gesù, nitida, semplice e perfet­ta: niente di male, per nessu­no, mai, solo bene, tutto be­ne. Che si preoccupa fino all’ul­timo non di sé ma di chi gli muore accanto e gli si ag­grappa: ricordati di me quan­do sarai nel tuo regno d’amore. In questo tuo regno pensami.

E Gesù non solo si ricorda, fa molto di più: lo porta con sé.

Ricordati di me, prega il morente. Sarai con me, risponde l’amante. Ricordati di me, prega la paura. Sarai con me in un abbraccio, risponde il forte. Solo ricordati e mi basterà, prega l’ultima vita. Con me, oggi, in un paradiso di luce, risponde il datore di vita.

Venga il tuo regno, noi preghiamo, e sia più intenso delle lacrime, più bello dei sogni di chi visse e morì per costruirlo.

Il regno di Dio verrà quando sorgerà un ostinato amore, che avanzando dalle periferie della storia arriverà ad abitare le città degli uomini. Solo questo trasformerà la nostra cronaca amara in storia finalmente umana.

Regale ed eterno è davvero solo questo a­more che si inabissa, rassicurante amore, disarmato amore.

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK