Le cose di Dio se gli siamo molto vicini pesano di più
La domenica delle Palme ci immerge in uno dei momenti più festosi della vita di Gesù: un fiume di sorrisi, dal monte degli ulivi al tempio. E attorno era primavera, allegra e potente, come adesso.
Non ho più dimenticato un dialogo di molti anni fa con un monaco trappista dell’abbazia di Orval, in Belgio. Davo una mano nella “brasserie”, cercando di rendermi utile, quando mi venne da chiedergli: «Padre, ma lei non si è mai stancato di Dio? Di pregare, di pensare a lui, di dargli tutto il tempo? Quando ci si stanca di Dio, cosa dobbiamo fare?».
Mi aspettavo che dicesse: ma come si fa a stancarsi di Dio? Vuol dire che siamo credenti da poco… Invece mi guardò con i suoi occhi profondi, e mi raccontò di una omelia di san Bernardo ai suoi monaci: «nel giorno delle Palme, nel corteo che accompagna il Maestro e i discepoli giù dal monte degli ulivi, c’è chi canta, chi applaude, chi fa ala e stende i mantelli, chi agita rami di palma: un giardino che cammina.
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Chi più vicino a Gesù, chi più lontano. Ma tutti contenti. C’è però un personaggio che fa più fatica di tutti, anche se è forte, anche se è il più vicino, ed è l’asina con il suo puledro (Matteo 21,2), su cui hanno steso i mantelli, su cui è salito Gesù. Chi sente tutto il peso di quell’uomo da portare su per l’erta che sale dal torrente Cedron verso il tempio e si stanca, è l’asina.
È la più vicina a Gesù eppure quella che fa più fatica. Così anche noi» continuò «quando facciamo fatica, quando sentiamo il peso delle cose di Dio, forse questo accade perché siamo molto vicini al Signore, stiamo portando lui e insieme il peso del cielo sopra di noi, con le sue nuvole scure da spingere più in là. L’importante è continuare: poco dopo c’è Gerusalemme». […] Continua a leggere tutto il testo di questo commento su Avvenire
Ulteriore commento di p. Ermes
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L’ATTO D’AMORE PERFETTO
Gli ultimi giorni di Gesù: dall’entrata in Gerusalemme, al rinnegamento di Pietro, fino alla folle corsa di Maria nel mattino di Pasqua, quando anche la pietra del sepolcro si veste di angeli e di luce, e ogni paura vola via.
Giorni supremi dal respiro profondo, respiro del tempo che cambia ritmo nell’attesa di qualcosa, di qualcuno che viene.
L’attesa ci fa passare attraverso il volto amico di Maria, che a Betania prende fra le sue mani i piedi di Gesù, ben povero tesoro, dove nulla c’è di divino, solo la stanchezza di essere uomo. Carezze di nardo su quei piedi così lontani dal cielo, così vicini alla polvere con cui Dio fece Adamo.
Una carezza sui piedi di Dio. Piedi sulle strade di Galilea e sul mio cuore, dove anch’io sono polvere e cenere. Dio non ha ali, ma piedi per perdersi con me nelle strade della storia.
Dio viene come un Re mendicante. A Betlemme la sua famiglia era ricca d’amore e la speranza viaggiava a dorso di un asinello, ora è così povero e solo da non possedere neanche la più povera bestia da soma. Un amante disarmato.
Benedetto Colui che viene, benedetto perché viene! È stupendo poter dire: Dio viene. In queste strade che sentono di folla, nella mia casa che sa di pane, Dio viene ancora. Si avvicina, è alla porta.
Poi Gesù si consegna alla morte. Perché? Per essere con me e come me, perché io possa essere con lui e come lui, il volto vero e alto dell’uomo, come quando appare al balcone di Pilato (ecco l’uomo!) col volto intriso di sangue, ed è il balcone del mondo dove è ancora crocifisso in tutti i suoi fratelli, straziato nella loro carne, straziata e santa.
In questa lenta settimana, possiamo seguire Gesù ora per ora. La cosa più santa che possiamo fare è stare con lui come le donne, come il centurione esperto di morte, per provare a capire che lì, in quell’agonia, canta il primo vagito di un mondo nuovo.
Cosa ha visto in lui il centurione pagano? Il guerriero non ha assistito a nessuna risurrezione, solo a una esecuzione capitale, a una morte da schiavi.
Cosa ha visto nello strazio di un morente? Un terremoto, una passione che, come vento di primavera, trema indomita sulla croce, una forza che scuote le pietre dei sepolcri, che non lascia dormire la polvere, ma vi fa entrare il respiro del mattino. La croce è l’abisso dove Egli viene da amante.
Il soldato ha visto che è possibile un altro modo di essere uomini. Ha visto il mondo capovolgersi: Dio che dà la vita anche a chi gli dà la morte; che non risponde al male con un di più di violenza, ma prendendolo su di sé.
La croce è l’immagine di Dio più pura, più alta, più bella della nostra fede; qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato una falsa idea di Dio. Solo la croce toglie ogni dubbio: lui è con me, fino all’estremo, per sempre.
Incantati, poggiamo saldi sulla cosa più bella del mondo: un atto d’amore, un dono d’amore, perfetto.
AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK