La parabola dei talenti “scossa” al nostro Io
La parabola dei talenti mette in scena la sfida tra il patrimonio economico e il patrimonio relazionale, il molto denaro di un ricco signore e il suo grande progetto sui servitori: affida loro il suo tesoro e parte. Al momento del ritorno e del rendiconto, la sorpresa raddoppia. Anziché tenere per sé, il padrone rilancia: «bene, servo buono, ti darò potere su molto».
E senti l’eco del profeta: così per te gioirà il tuo Dio (Is 62,5). Felice di ciò che vede, non solo dona ai servi l’investimento e il guadagno, ma aggiunge un di più: «entra nella gioia del tuo signore». Signore e servi sono entrati in sintonia di vita, nell’esperienza che «il Regno viene con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (Giovanni Vannucci).
I primi due hanno capito e osato, il terzo ha avuto paura e ha seppellito la sua vita: so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato, raccogli dove non hai sparso… ho avuto paura. Ecco qui ciò che è tuo. Non l’ha mai considerato suo, quel talento. «Ho avuto paura». La madre di tutte le paure è la paura di Dio. Il terzo servo ha una immagine di Dio triste, predatoria, che sa di morte. Lo sente duro, nemico e ingiusto. E chi non avrebbe paura di un Dio così?
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Tutta la parabola invece disegna una immagine opposta di Dio, che non è il mietitore severo di quanto ha seminato, ma lascia gioiosamente tutto il buon grano alla tua tavola, anzi lo raddoppia ancora (datelo a chi ha già dieci talenti)…
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Altro commento di fra Ermes
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Moltiplica la tua vita!
Come spesso nelle parabole, c’è un signore che consegna qualcosa ai servi, affida un compito, e poi esce di scena. Ci consegna il mondo, con poche istruzioni per l’uso e tanta libertà. Una sola regola fondamentale: coltiva e custodisci, ama e moltiplica la vita.
La parabola dei talenti è l’esortazione pressante ad avere più paura di restare inerti e immobili, come il terzo servo, che di sbagliare (Evangelii Gaudium 49). E’ la paura a paralizzare la vita.
C’è un signore ricchissimo e generoso, che parte in viaggio e affida grosse somme ai servi. Non cerca un consulente finanziario, chiama quelli di casa, crede in loro, ha fiducia e un progetto, quello di farli salire di condizione: da dipendenti a co-partecipi, da servi a figli. Con due ci riesce. Con il terzo non ce la fa. Al momento del ritorno e del rendiconto, la sorpresa raddoppia: Bene, servo buono! Bene! Eco del grido della Genesi, quando per sei volte Dio esclamò “che bello!”.
I servi vanno per restituire, ma Dio li spiazza, rilanciando: ti darò potere su molto, entra nella gioia del tuo signore. In una dimensione nuova, quella di chi partecipa al dinamismo della creazione. E dietro di lui, là dove è passato, rimane più vita.
Se leggiamo con attenzione, scopriamo che Dio non è un contabile che rivuole indietro i suoi talenti con gli interessi. Dice infatti: «Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto». Ciò che i servi realizzano non solo rimane a loro, ma viene moltiplicato, e questo accrescimento di vita è esattamente la bella notizia.
Nessuna tirannia, nessun capitalismo della quantità: infatti colui che consegna dieci talenti non è più bravo di quello che ne riporta quattro. Non c’è una cifra ideale da raggiungere: c’è da camminare con fedeltà a te stesso, a ciò che hai ricevuto, a ciò che sai fare, là dove la vita ti ha messo, fedele alla tua verità, senza maschere e paure.
Dietro l’immagine dei talenti non ci sono soltanto i doni di intelligenza, di cuore, le mie capacità: c’è Madre terra, e tutte le creature messe sulla mia strada sono un dono del cielo per me. Ognuno è talento di Dio.
Dai protagonisti della parabola emergono due visioni opposte della vita: l’esistenza, come una opportunità; oppure come un lungo tribunale, pieno di rischi e di paure.
I primi due servi entrano nella vita come dentro una opportunità gioiosa; l’ultimo non ci entra neppure, paralizzato dalla paura di fallire.
Questa parabola è il poema della creatività, senza voli retorici, perché nessuno dei tre servi crede di poter salvare il mondo. Tutto invece odora di casa, di viti e di olivi o, come nella prima lettura, di lana, di fusi, di lavoro e di attesa. Di semplicità e concretezza.
Ciò che io posso fare è solo una goccia nell’oceano, ma è questa goccia che dà senso e sapore alla mia vita (A. Schweitzer).