Marta cuore del servizio, Maria cuore dell’ascolto
Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 17 luglio 2022
La casa è piena di gente, ci sono Gesù e i suoi; Maria, la giovane, seduta ai piedi dell’amico, i discepoli intorno, forse Lazzaro tra loro; Marta, la generosa, è nella sua cucina, alimenta il fuoco, controlla le pentole, si alza, passa e ripassa davanti al gruppo a preparare la tavola, affaccendata per tutti. Maria seduta ascoltava Gesù.
Un uomo che profuma di cielo e una donna, seduti vicinissimi. Una scena di maestro-discepola così inconsueta per gli usi del tempo che pare quasi un miracolo. Tutti i pregiudizi sulle donne saltati in aria, rotti gli schemi. Presi l’uno dall’altra: lui totalmente suo, lei totalmente sua. La immagino incantata davanti alle parole del maestro e amico, come se fosse la prima volta. Conosciamo tutti il miracolo della prima volta.
Poi, lentamente ci si abitua. L’eternità invece è non abituarsi mai, è il miracolo della prima volta che si ripete sempre, come nella casa dell’amicizia, a Betania. E poi c’è Marta, la padrona di casa, tutto compresa del suo ruolo santo. Gli ospiti sono come angeli e c’è da offrire loro il meglio; teme di non farcela e allora “si fa avanti”, con la libertà dell’amicizia, e s’interpone tra Gesù e la sorella: “dille che mi aiuti!”. […]
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I POLI DELL’AMORE
Gesù ci sussurra: non ti affannare per nulla che non sia la tua essenza, e a tutti ripete: attento a un troppo che è in agguato, a un troppo che può sorgere e ingoiarti, troppo lavoro, troppi desideri, troppo correre. Prima la persona poi le cose.
Passare dall’affanno di ciò che devo fare per Lui, allo stupore di ciò che Lui fa per me, questo ci insegnano oggi le due sorelle di Betania. Passare da Dio come dovere a Dio come desiderio, in un rapporto completamente nuovo anche per noi oggi, fresco come un amore appena sbocciato.
A Betania Gesù è accolto da donne che non erano contemplate come discepole dai maestri del tempo. Entra nella loro casa, luogo dove il Vangelo si fa carne perché è nel cuore stesso della vita.
Maria, che ben conosce Gesù, sa ancora ascoltarlo stupefatta; sa incantarsi, come la prima volta. Tutti conosciamo il miracolo della prima volta, l’eternità è non abituarsi, è il miracolo della prima volta che si ripete sempre, e Maria, seduta ancora ai piedi di Gesù, lo rinnova bevendo le sue parole, i suoi silenzi, i suoi occhi.
Perché Gesù, cultore dell’amicizia, non cerca delle persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare cose grandi, che gli lasci essere Dio, come Maria di Nazareth: ha fatto grandi cose in me l’Onnipotente, e io lo riconosco!
Maria ha scelto la parte buona, ha iniziato dalla parte giusta, dal faccia a faccia con Dio, impensabile per la Legge del tempo.
Avverti una sorta di contagio quando sei accanto a Gesù, qualcosa più importante ancora del “fare”. E’ il perché del fare, così il maestro scuote una ignara Marta: tu ti affanni per troppe cose.
Gesù non contraddice il servizio, ma l’affanno; non il desiderio, ma la sua dispersione: Marta, una sola è la cosa di cui c’è bisogno. E non dice quale sia. Ma sedersi ai piedi di Cristo ci fa sentinelle che vigilano tra superfluo e necessario, tra effimero ed eterno.
Le espressioni di Marta e Maria sono complementari. Marta non può fare a meno di Maria, perché la sorgente del servizio fa grande il cuore. E Maria non può fare a meno di Marta, perché non c’è amore di Dio che non si traduca in gesti concreti. L’amica e l’ancella incarnano due modi d’amare entrambi necessari, i due poli di un unico comandamento: amerai il Signore tuo Dio e amerai il prossimo tuo come te stesso; e di un’unica beatitudine: beati quelli che ascoltano la Parola, beati quelli che la mettono in pratica.
Gesù ci sussurra: non ti affannare per nulla che non sia la tua essenza eterna, e a tutti ripete: attento a un troppo che è in agguato, a un troppo che può sorgere e ingoiarti, troppo lavoro, troppi desideri, troppo correre. Prima la persona poi le cose.
Io sono Marta, io sono Maria; dentro di me le due sorelle si tengono per mano, e quando nulla separerà l’uomo da Dio, allora nulla separerà l’uomo dal servizio all’uomo.
Sapienza del cuore, il fiuto di saper scegliere ciò che fa bene alla vita, ciò che regala pace e forza, perché l’uomo segue quelle strade dove il suo cuore gli dice che troverà la felicità (S. Agostino).
AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK