p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 17 Aprile 2022

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La tomba vuota segno di ripartenza per ognuno

Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 17 aprile 2022

Pasqua ci viene incontro con un intrecciarsi armonioso di segni cosmici: primavera, plenilunio, primo giorno della settimana, prima ora del giorno. Una cornice di inizi, di cominciamenti: inizia una settimana nuova (biblica unità di misura del tempo), inizia il giorno, il sole è nuovo, la luce è nuova.

Il primo giorno, al mattino presto, esse si recarono al sepolcro. Luca si è dimenticato il soggetto, ma non occorre che ci dica chi sono, lo sanno tutti che sono loro, le donne, le stesse che il venerdì non sono arretrate di un millimetro dal piccolo perimetro attorno alla croce. Quelle cui si è fermato il cuore quando hanno udito fermarsi il battito del cuore di Dio. Quelle che nel grande sabato, cerniera temporale tra il venerdì della fine e la prima domenica della storia, cucitura tra la morte e il parto della vita, hanno preparato oli aromatici per contrastare, come possono, la morte, per toccare e accarezzare ancora le piaghe del crocifisso. Le donne di Luca sono una trinità al femminile (R. Virgili): vanno a portare al Signore la loro presenza e la loro cura. Presenza: l’altro nome dell’amore.

Davanti alla tomba vuota, davanti al corpo assente, è necessaria una nuova annunciazione, angeli vestiti di lampi: perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui. È risorto. Una cascata di bellezza. Il nome prima di tutto: “il Vivente”, non semplicemente uno fra gli altri viventi, ma Colui che è la pienezza dell’azione di vivere. E poi: “non è qui”! Lui c’è, ma non qui; è vivo e non può stare fra le cose morte; è dovunque, ma non qui. Il Vangelo è infinito proprio perché non termina con una conclusione, ma con una ripartenza. […]

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QUEL POSTO VUOTO

Non è un sepolcro vuoto che rende plausibile la risurrezione. Il vero nemico della morte, il vincitore, non è la vita, ma l’amore. Nell’alba di Pasqua non a caso chi si reca alla tomba è chi ha vissuto e patito di più l’amore di Gesù.

Notte di fallimento, di silenzio, di buio ostile, dove veglia un pugno di uomini e di donne totalmente disorientati.

Quel sabato che precedette la Pasqua fu un sabato diverso dagli altri. Le donne di Galilea in segreto preparavano aromi. Silenzio fuori e dentro il cuore.  E alle prime luci del giorno, non appena è loro possibile, si recano al sepolcro. Solo fra le donne Gesù non ha avuto nemici, addirittura la moglie di Pilato lo ha difeso.

Donne che si prendono cura del suo corpo con ciò che hanno, co­me solo loro sanno. Al buio, seguendo la bussola del cuore. È il grande sabato del silenzio di Dio, un sabato, oggi, lungo cinquanta giorni di guerra. Così è anche per me, seduto in faccia al sepolcro.

La Pasqua arriva a noi attraverso gli occhi e la fede di queste donne amiche di Gesù, in un’alba ricca di sorprese, di corse, di paure, di inizi. Escono di casa appena possibile, con l’urgenza di chi ama. Vanno alla tomba per vedere, guardare, soffermarsi, toccare, dare la propria presenza.

Entrano, ma non trovano il corpo di Gesù; al suo posto, il vuoto.

Il primo segno di Pasqua è una tomba ormai inutile. Manca un corpo al bilancio della violenza, un corpo alla contabilità della morte: la storia sta cambiando, il violento non avrà in eterno ragione della sua vittima, ora lo sappiamo.

Non è un sepolcro vuoto che rende plausibile la risurrezione (magari quella madre ucraina, di corsa come la Maddalena, avesse trovato il pozzo vuoto…), ma è riportare al cuore le sue parole, sentire che non è qui, ma ci precede, restare vivi, restare umani noi per primi.

Viene il terzo giorno, una mattina o una sera, o meglio una notte, ad una svolta della strada o nel silenzio della casa. L’incontro avverrà, a me spetta desiderare, fare memoria, aspettare. E lo riconoscerò, come le donne, grazie a due segni che non ingannano: una trepidazione sacra che non è paura, e una gioia che dilaga dentro, umile e forte.

Perché cercate tra i morti colui che è vivo? C’è, esiste, vive, ma non qui. Va cercato altrove, diversamente, è in giro per le strade, è il Dio da cogliere dovunque, eccetto che fra le cose morte. 

Perché Cristo è risorto? Perché un amore come il suo è più forte della morte, perché una vita come la sua non può andare perduta. Il vero nemico della morte, il vincitore, non è la vita, ma l’amore. Nell’alba di Pasqua non a caso chi si reca alla tomba è chi ha vissuto e patito di più l’amore di Gesù: le donne, la Maddalena, il discepolo amato, sono loro i primi a capire che l’amore vince la morte.

E anche noi siamo nella vita per fare cose che meritano di non morire, per ricordare a noi e agli altri che nessun gesto d’amore andrà mai perduto.

Così anch’io correrò come Maria di Magdala e le altre donne, ad annunciare che Lui è vivo. Lo dirò “con trepidazione e gioia grande”, nella casa e per le strade, lo dirò con la mia vita da salvato. Poi non dirò più niente.

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK