p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 11 Settembre 2022

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L’amore non è giusto ma divina «follia»

Si è persa una pecora, si perde una moneta, si perde un figlio. Si direbbero quasi le sconfitte di Dio. E invece protagonisti delle parabole sono un pastore che sfida il deserto, una donna non si dà pace per la moneta che non trova, un padre tormentato, esperto in abbracci, che non si arrende e non smette di vegliare. Le tre parabole della misericordia sono il vangelo del vangelo. Noi possiamo perdere Dio, ma lui non ci perderà mai. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa l’essenziale del rapporto con noi stessi, con gli altri, con Dio.

Il ragazzo era partito di casa, giovane e affamato di vita, libero e ricco,
ma si ritrova povero servo a disputarsi con i porci l’amaro delle ghiande. Allora ritorna in sé, dice la parabola, chiamato da un sogno di pane (la casa di mio padre profuma di pane…).

Non torna per amore, torna per fame. Non cerca un padre, cerca un buon padrone. Non torna perché pentito, ma perché ha paura. Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in viaggio. È sufficiente che compiamo un primo passo nella direzione buona. L’uomo cammina, Dio corre. L’uomo si avvia, Dio è già arrivato.

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Lo vide da lontano, commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciava. Al solo muovere un passo Lui mi ha già visto e si commuove. Io cammino e Lui corre. Io inizio e Lui mi attende alla fine. Io dico: non sono più tuo figlio, Lui mi tappa la bocca, perché vuole salvarmi proprio dal mio cuore di servo e restituirmi un cuore di figlio. […]

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MADRE PADRE E RE

Padre, mi ero perso! Ma ora imparo da te e mi prendo il tuo abbraccio, la tua veste nuova, la tua festa. Sono l’eterno mendicante, sono la tua agonia, sono la tua gioia. Sono tuo figlio.

Un pastore sfida il deserto, una donna non si dà pace per una moneta che non trova, un padre tormentato esperto in abbracci. Le tre parabole della misericordia sono il vangelo del vangelo.

C’era come un feeling misterioso tra Gesù e i peccatori, un cercarsi reciproco che scandalizzava scribi e sacerdoti. Gesù allora spiega questa amicizia con tre parabole tratte dalla vita: una pecora e una moneta perdute, un figlio che se ne va e si perde. Storie in cui risaltano la pena di Dio quando perde e cerca, ma soprattutto la sua gioia quando trova.

Un padre aveva due figli. Se ne va, il giovane, cercando felicità nelle cose che il denaro procura, ma le cose hanno sempre un fondo e il fondo delle cose è vuoto.

Io voglio bene al prodigo. Il prodigo è storia di tutti, questa crisi del ribelle l’abbiamo vissuta tutti, e spesso la rivolta non era che il preludio a una dichiarazione d’amore.

Ma il libero ribelle è diventato servo, ha fame, «può rubare le ghiande ai porci, ma non può accontentarsi, come loro, delle sole ghiande. Crudeltà questa? No, Provvidenza» (Mazzolari).

L’uomo nasce con il cuore malato di cose lontane, e il principe diventato servo ritorna in sé. Chiamato da un sogno di pane (la casa di mio padre profuma di pane!) si mette in cammino.

L’uomo cammina, Dio corre. L’uomo si avvia, Dio è già arrivato. Infatti: il padre, vistolo da lontano, gli corse incontro…

E lo perdona prima ancora che apra bocca, dimostrando che il tempo della misericordia è l’anticipo. Si era preparato delle scuse, il ragazzo, ma il Padre perdona non con un decreto, ma con un abbraccio; e non gli domanda: dove sei stato, cosa hai fatto? Chiede invece: dove sei diretto? Il territorio di Dio è il futuro.

I gesti che il padre compie sono insieme materni, paterni e regali (R. Virgili): materno è il suo perdersi a guardare la strada; paterno è il suo correre incontro; regali sono l’anello e la tunica e la grande festa.

Padre, non sono degno, trat­tami da servo. E lui lo in­terrompe, senza condanna né assoluzione, perché il primo sguardo di Dio non si posa mai sul peccato, ma sulla sofferenza, per guarirla.

Il fratello maggiore torna dai campi e si arrabbia col mondo. Ha misurato tutto sulla contabilità del dare e dell’avere, come un salariato. Ma il padre vuole sal­vare anche lui dal cuo­re di servo che si ritrova: «tu sei sempre con me, tutto ciò che è mio è tuo». Tutto! Avrà capito?

Anche noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, possiamo scovare un tesoro sconosciuto tra i cocci di un vaso di creta, pagliuzze d’oro nella corrente fangosa.

Padre, mi ero perso! Ma ora imparo da te e mi prendo il tuo abbraccio, la tua veste nuova, la tua festa. Sono l’eterno mendicante, l’eterno ingannatore. Sono la tua agonia, sono la tua gioia. Sono tuo figlio.

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: Avvenire e PAGINA FACEBOOK