p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo del giorno, 12 Aprile 2020

2155

La Parola nel tempo della distanza

NON È QUI, VI PRECEDE!
NON È QUI!

Gv 20, 1-9
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.

Un Dio di donne. Sono le donne che venerdì hanno abitato, senza mollare di un centimetro, il perimetro attorno alla croce, sul Calvario; sono ancora le donne che a Pasqua corrono, nel vento del mattino, e lo vedono per prime.

Nel vangelo di stanotte Matteo raccontava di due donne e un angelo; le donne hanno il cuore grande abbastanza per parlare con gli angeli, sanno la loro lingua.
Nel vangelo di stamattina è ancora una donna, Maria di Magdala, ad ascoltare per prima le parole del risorto: lei conosce la lingua di Dio.

Donna perché piangi? Sembrano proprio dette per noi, oggi, queste parole. Dio prova dolore per il dolore del mondo, raccoglie ad una ad una le nostre lacrime, le ripone nella sua anfora, le scrive nel suo libro e conta i passi del nostro vagare.

Poi la chiama: Maria! E lei si gira, sussurrando, piangendo, balbettando… e il vangelo, per prudenza, riferisce che abbia detto Rabbuni, Maestro. Ma nel giardino io sono sicuro che è risuonata un’altra parola, direttamente dal cuore: Amore! Sei tu. Sei qui.
Gesù non merita prudenza, merita la fretta dell’amore che non sopporta indugi, che è sempre in ritardo sugli abbracci.
L’angelo ha detto alle donne: “So che cercate Gesù, non è qui!”. Cercate meglio, con occhi nuovi.

Che bello questo: non è qui! Cristo c’è, esiste, ma non qui. Va cercato diversamente, è in giro per le strade, un Dio da cogliere nella vita fuori.
Non qui, non nelle tombe. Dappertutto, ma non fra le cose morte.
Lui è dentro i sogni di bellezza, in ogni scelta per un più grande amore, dentro l’atto di generare, nei gesti di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bimbo che nasce, nell’ultimo respiro del morente, nella tenerezza con cui si cura un malato.

Non è qui, vi precede. È sulla strada, è davanti, è il primo della carovana che incalza la nostra vita seduta. Io sono la via, la strada, il futuro.
Pasqua viene da un verbo ebraico (pesah) che vuol dire passare. Non è festa per stanziali, ma per migratori, per chi prova a scollinare verso giustizia, pace, armonia con il creato.
La Evangelii Gaudium conforta il mio cuore migrante:
Il cristiano sa bene che non va perduto nessun gesto d’amore e nessuna generosa fatica.
Non va perduta nessuna dolorosa pazienza.
Io so che, per la Risurrezione di Cristo, tutto questo circola come energia di vita attraverso le vene del mondo.

Il mondo è una immensa collina di croci. È vero. E tuttavia dove la terra è stata spianata, vedo spuntare un filo d’erba testardo, e poi un fiore che si impunta, ostinato, a fiorire. Vedo mucchi di macerie, eppure sono sicuro che la vita è assediata ma non espugnata.
Questa è la pasqua dei fragili, di molti crocifissi. Ma anche di mille e mille uomini e donne mirabili, nonostante; di mille Cirenei; di mille ciliegi fioriti sulle colline, nonostante.

Tutti loro mi dicono:
Non cercare fra i morti, colui che vive.
Il mio Dio è vivo. E mi precede. Io non appartengo a un Dio compianto. E lo ripeto alle mie paure: io appartengo a un Dio vivo!
E questa fede mi fa dolce e fortissima compagnia.

Buona Pasqua

UN ALTRO COMMENTO DI P. ERMES LO PUOI LEGGERE QUI.