p. Enzo Fortunato: E se tornasse Gesù?

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La domanda al cuore del Cristianesimo

Un viaggio attraverso le parole dei grandi autori della letteratura moderna e contemporanea

foto di p. Enzo FortunatoSe Cristo tornasse oggi? Ecco la domanda che si è posto padre Enzo Fortunato. La domanda al cuore del Cristianesimo, del nostro vivere, del nostro amore, del nostro agire. L’autore ci propone una riflessione profonda, attraverso storia e letteratura.

Cosa possiamo imparare dal modo in cui grandi autori hanno immaginato il ritorno di Cristo sulla terra? Prima di tutto che la modernità e la contemporaneità ci mettono di fronte a ciò che la teologia ha sempre chiamato le questioni ultime o le domande essenziali. Flaiano, Michelstaedter, Tolstoj, Dostoevskij e altri, ciascuno a suo modo, ci dicono che nonostante tutte le apparenze contrarie, nonostante tutte le ironie e le demistificazioni, la verità evangelica mantiene per noi tutta la sua forza e la sua attualità.

Quando Cristo batte alle nostre porte – e questo avviene molto più spesso di quanto crediamo – noi ci limitiamo a far entrare nelle nostre case il suo nome e lasciamo fuori le sue verità che sono la pazienza, il perdono, l’amore. In fondo è soltanto l’amore che le raccoglie e le riassume tutte.

Enzo Fortunato è francescano conventuale, giornalista e scrittore. Attualmente direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi. Padre spirituale dei giovani postulanti dal 1995 al 2004. È stato professore presso la Pontificia Università Antonianum, l’Istituto Teologico di Assisi e la Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura. Ha ideato la collana Orientamenti formativi francescani edita dal Messaggero. Ha collaborato con l’Osservatore Romano e scrive per Corriere della Sera, Sole 24 ore e Huffington Post. Ha pubblicato recentemente Francesco il Ribelle per Mondadori. È voce di Rai Radio1 col programma In viaggio con Francesco. Conduce su Rai1 la rubrica Tg1 Dialogo con Piero Damosso.

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INTRODUZIONE

E se Cristo tornasse oggi? Ecco la domanda che mi sono posto leggendo un articolo sul Foglio. Mi sono fermato a pensare a lungo. La prima reazione è stata quella di guardare la porta dell’ufficio. Ho provato per un attimo a immaginare che qualcuno bussasse: «Io sto alla porta e busso, se qualcuno ode la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me», ci ricorda il libro dell’Apocalisse (3,20). Ho provato a visualizzare Gesù sulla scorta delle immagini e dell’iconografia che in questi anni ho immagazzinato. La più spontanea: vestito di bianco, con la tunica rossa di traverso. Apro la porta e ci guardiamo negli occhi, in un silenzio senza precedenti. Le reazioni nel mio cuore sono diverse, la prima è: «Ho cercato di seguirti…», ma anche:

«Ho sbagliato tutto? Ti ho compreso?», e scoppio in lacrime; come in un bagliore quelle domande mi riportano al cuore del cristianesimo, in quel cum prehendere che è anche un abbraccio. Poi ci guardiamo ancora negli occhi e capisco che non è qui per rimproverarmi ma solo per amarmi e rendermi capace di amare.

Ho provato a immaginare anche un’altra scena: che Lui bussasse alla porta ed entrasse e ascoltasse i miei pensieri e sperimentasse il mio modo di amare, le mie simpatie e le mie antipatie, i miei “vaffa” o i miei “vieni qui!”. Ho immaginato che osservasse il mio modo di lavorare, di fare le cose, di comunicare. In tutto questo, in alcuni momenti, ho immaginato la grande vicinanza, in altri la distanza. Non so dire fino a che punto potrebbe condividere ciò che faccio, però lo immagino ancora che mi sprona a continuare: «Qui cerca di fare meglio, qui vai avanti così, qui vedi che sotto sotto c’è il tentatore, cerca di smascherarlo».

E in tutto questo emerge la domanda decisiva che Lui mi porrebbe: «Io dove sono?». La domanda al cuore del Cristianesimo, del nostro vivere, del nostro amore, del nostro agire, del nostro pensare.

Come afferma il cardinal Ravasi, Gesù è «un instancabile provocatore di domande». Spesso nella domanda è contenuta una forza profetica. La domanda, scrive ancora Ravasi, «è l’anima della religione».

Papa Francesco alla viglia di Pasqua è tornato su un tema fondamentale della predicazione di Gesù e sulle domande che essa suscita nei nostri tempi. Originariamente il suo essere «segno di contraddizione» (Lc 2,34), la semplice presenza e la parola di Gesù risultano dirompenti.

Ma oggi, dice papa Francesco, Gesù sarebbe relegato fra le notizie di un giornale di provincia. Implicitamente Francesco ci mette di fronte alla domanda del Vangelo di Luca: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (18,8).

La domanda è terribile, e terribile che la risposta possa essere consegnata all’indifferenza. È come se il Vangelo ci spingesse a immaginare non solo che Cristo tornerà, ma che sia tornato, che sia qui e ora, e che a noi spetti corrispondere alla sua presenza tangibile.

La domanda non è cosa fa l’umanità? La vera domanda che non possiamo eludere è: Cosa faccio io?

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