p. Bruno Moriconi, ocd – Commento al Vangelo di domenica 4 Dicembre 2022

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Chi fosse realmente quel Giovanni che appare nel deserto non lo sapevano coloro che se lo trovarono di fronte all’improvviso, ma lo sappiamo bene noi, anche perché l’evangelista lo qualifica immediatamente con l’aggettivo che lo caratterizzerà per sempre, come il baptistês, ossia, il “battezzatore”.

Una professione che la tradizione ha convertito quasi nel suo cognome, facendolo divenire, anche per distinguerlo da Giovanni Evangelista, Giovanni Battista. Se, infatti, la missione specifica del primo è stata quella di aver redatto uno dei quattro Vangeli, la sua è quella di aver battezzato molti, ma soprattutto lo stesso Figlio di Dio nelle acque del Giordano. In Toscana, identificato con il Battistero di Firenze, città di cui è patrono, è divenuto in un certo senso anche il “bel san Giovanni”, dato che, così, Dante celebra quell’edificio (Inferno XIX, 16-8).

Solo di sei mesi più grande del “cugino” Gesù, ne doveva sembrare molto più vecchio, dato il suo rustico abbigliamento e il più che spartano regime alimentare. “Giovanni”, scrive, infatti, l’evangelista, “portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico”. Il suo modo di vestire richiama l’austerità del profeta Elia (2Re 1,8) che egli – lo confermerà Gesù stesso quando dirà che l’antico profeta è già venuto in Giovanni (Mt 11,14 e 17,11- 13) – impersona come precursore del Messia.

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Attraverso il suo “battesimo d’acqua”, vorrebbe preparare il popolo ad accogliere l’offerta di salvezza definitiva che Dio offre al mondo attraverso l’incarnazione del Figlio. Le sue prime parole, infatti, sono: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”. Il battesimo che sta per essere amministrato e che Giovanni annuncia è un “battesimo di fuoco”, perché brucia i peccati e dona salvezza.

Ecco l’altro appellativo! Egli è Voce che – come direbbe Sant’Agostino – è tale rispetto a Cristo che è Parola, la Parola di Dio. Incarna, dunque, in questo senso, il nostro stesso ruolo, in quanto le nostre parole, non solo non possono essere Parola, ma dovrebbero essere sempre voce della Verità. Da parte sua, Giovanni annuncia e addita Gesù, che si è appena affacciato alla vista di tutti, come “Colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29).

Giovanni è anche chi, per non aver avuto paura di denunziare la condotta ingiusta del re Erode, ne subirà la condanna, ma in questo momento, è il battezzatore del Giordano a cui accorrono molti da ogni parte del paese a confessare i propri peccati e a ricevere il suo lavacro di penitenza. Ci sono anche molti farisei e sadducei, i due gruppi religiosi che osteggeranno Gesù fino a chiederne la condanna. Soprattutto per questo, Giovanni li apostrofa duramente chiamandoli addirittura “razza di vipere”. Figli di animali velenosi, altro che figli di Abramo, come piacerà loro chiamarsi, nei confronti di Gesù che non vorranno accettare come inviato di Dio.

Li minaccia con l’immagine della scure ormai posta al calcio degli alberi e col fuoco del battesimo del Messia che ha in mano il ventilabro per distinguere la pula da bruciare dal buon grano da conservare. Secondo queste parole, sembrerebbe che Gesù venga con queste intenzioni bellicose, quando sappiamo, invece, che “Dio non ha mandato il figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui” (Gv3,17). Il Battista parla ancora, infatti, secondo la mentalità dell’Antico Testamento, anche se le sue parole restano valide anche per noi, nel senso che – senza il nostro desiderio sincero di conversione – non basterebbe neppure il nostro battesimo.

Che Giovanni Battista, benché “il più grande tra i nati di donna” (Mt 11,11) per dichiarazione espressa di Gesù, non sia ancora partecipe della nuova e bella notizia (il Vangelo), lo dichiara egli stesso. Non solo, infatti, dice che colui che viene è più grande di lui perché, mentre egli battezza con acqua lui battezzerà col fuoco, ma poiché aggiunge di non essere “degno di portargli i sandali”, ossia di essere suo discepolo. Una immagine (quella del portare o slacciare i sandali) che indica, allo stesso tempo, un servizio tipico dell’allievo di un Maestro d’Israele e, addirittura, quello del servo.

Soggettivamente un grande atto di umiltà che dimostra la santità di Giovanni (“il più grande tra i nati di donna”), ma, allo stesso tempo, dal punto di vista oggettivo, la dichiarazione di non essere ancora cristiano o evangelizzato. Superiore alla maggioranza di noi come santità, inferiore a noi, quanto alla consapevolezza di ciò che è accaduto nella pienezza dei tempi (che “Dio non ha mandato il figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui”). La consapevolezza che, se rinnovata, è il vero modo di celebrare il Natale.

Fonte: il canale Telegram dei Carmelitani Scalzi dell’Italia Centrale.

Sito: https://www.carmelitanicentroitalia.it