A partire da oggi, per tre settimane, eccetto nelle feste, il vangelo è tratto dalla lunga conversazione di Gesù con i discepoli durante l’Ultima Cena (Gv 13 a 17), in cui si percepisce la presenza di tre fili: la parola di Gesù, la parola delle comunità e la parola dell’evangelista che fece l’ultima redazione del Quarto Vangelo.
Questi si fili si intrecciano e danno vita a un quadro meraviglioso, dove è difficile distinguere ciò che è dell’uno e ciò che è dell’altro, ma dove tutto è Parola di Dio per noi. Con il gesto della lavanda dei piedi, Gesù ci lascia un esempio da imitare. Lui, che è il Signore, si comporta come un servo. Colui che si è lasciato lavare i piedi dalla sua amica Maria a Betania (12, 3), che si lasciò amare e servire dai suoi amici, non sembra un re in cerca di onori, benessere o lusso, giacché Egli stesso eseguì il gesto di mettersi in ginocchio vicino agli altri.
È un re che governa, che regna, prestando servizi, servendo. Lavare i piedi sporchi a qualcun altro non è una cosa facile. Immaginate a quanto possono puzzare quei piedi. Servire non è sentirsi appagati, ma fare cìo che è necessario per il bene di chi ne ha bisogno. Gesù, dopo la lavanda, fa notare che se qualcuno vuole essere suo discepolo non può che fare altrimenti, non può pensare di pretendere onori o gloria.
Spesso vogliamo essere i protagonisti della storia che viviamo e cerchiamo di far prevalere le nostre idee e siamo talmente abituati a farlo che lo facciamo anche con Dio, mettendolo al nostro servizio e non servendolo, soprattutto negli altri. Il Vangelo lo dice chiaramente: siamo uguali, non c’è nessuno che sia più grande e importante degli altri. Eppure, questa lezione l’umanità non la vuole proprio imparare.
p. Arturo MCCJ
Fonte: Telegram
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