“Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse non a tutto il popolo ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto insieme con lui”.
Paolo nella casa del pagano Cornelio (At 10) porta l’annuncio della prima comunità: parla della risurrezione come azione del Padre in Gesù, connessa alla vita dell’umanità. Si apre una comunione di vita, del Padre, del Figlio e dello Spirito. Ed insieme si ricorda l’invio ad esserne testimoni: testimoni della risurrezione sono ‘coloro che hanno mangiato e bevuto insieme’ con Gesù. La sua morte e risurrezione sono così da leggere in continuità stretta con l’intera sua esistenza. Dai suoi gesti, dalle sue parole è possibile trarre luce per vivere la testimonianza. E testimoni sono chiamati ad essere coloro che lo hanno incontrato, a partire dal battesimo di Giovanni. Il Padre ha risuscitato colui che è stato rigettato e condannato. La risurrezione è evento di comunione e di relazione ma è anche luogo in cui si rivela la distanza tra il giudizio di Dio e i pensieri umani. Gesù il rifiutato e condannato, proprio lui Dio ha esaltato (Fil cap. 2). La risurrezione è annuncio di un nuovo modo di guardare la vita e la storia.
La pagina del vangelo è espressione narrativa di tale annuncio: non intende essere descrizione di tipo cronachistico ma inserisce l’annuncio della Pasqua in un quadro narrativo dando voce all’esperienza dei primi testimoni. Il ‘rialzarsi’ di Gesù dalla morte è infatti evento che si situa oltre la storia, non è inquadrabile nei limiti del tempo e dello spazio. E’ irruzione dell’ultimo. Se investe la storia d’altra parte si pone al di là della storia, è già anticipo e compimento di una realtà ‘ultima’. Per questo i testi della prima comunità sono testimonianza di un evento che non può essere descritto, e neppure intendono offrirne una dimostrazione. Si tratta piuttosto di testi di annuncio e testimonianza che fanno appello ad una accoglienza nella fede.
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Vi sono dei segni, ma al centro sta la parola e la testimonianza di Gesù stesso. Su di essa si basa il credere dei primi discepoli. Da qui sorge il nostro credere. Noi possiamo incontrare Gesù Cristo risorto accogliendo questa catena di testimonianza e aprendoci all’esperienza della fede. La pagina del vangelo di oggi ci offre un percorso proprio in questa direzione.
Il segno della tomba vuota, e le parole di Maria ‘Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto’ aprono la pagina del vangelo; ma al centro sta il ‘vedere’ del discepolo che corre, arriva primo, vede, ma aspetta che giunga anche Simon Pietro. C’è qui un sottile riferimento alla tensione ed all’incontro tra Pietro – che diventa simbolo della comunità nel suo essere istituzione – e il discepolo amato – simbolo dell’intuizione, dell’amore – di chi vive un rapporto intimo e profondo con Gesù. Solamente di lui è detto che riesce a vedere in modo nuovo: ‘e vide e credette’. C’è un vedere che legge dentro i segni di per sé ambigui e incerti. Tutti e due vedono ma ‘il discepolo che Gesù amava’ si apre al ‘credere’ così come il cieco riavuta la vista era stato illuminato e guidato ad aprirsi al credere in Gesù come salvatore (Gv 9,37-38): il credere ha il suo sorgere dall’accoglienza di una relazione.
Celebrare la Pasqua oggi è invito a scoprire in Gesù Cristo, nella sua vita, il volto di Dio da incontrare sempre in modo nuovo. Il sepolcro vuoto ricorda che questo incontro si attua in una assenza, ma insieme nel dono del suo farsi incontro, nei segni da lui lasciati. E tutto ciò comporta sofferenza e attesa. Siamo invitati a scorgere dentro di noi e nelle vicende umane i segni di vita di cui la risurrezione di Gesù è primizia.
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Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.