Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.
Ad Antiochia di Pisidia Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. ». La scelta di Paolo e Barnaba è in continuità con la fede ebraica ed approfondimento di essa: è ispirata dal coraggio che la Parola di Dio suscita e sorge da tale fedeltà. L’annuncio della Parola si apre così al mondo dei pagani. E’ un decisivo punto di svolta. Ad Antiochia tale passaggio trova il suo fondamento nell’annuncio profetico: Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra” (Is 49,6).
Il servo di Jahwè è presenza di luce che porta la salvezza oltre i limiti dell’appartenenza ad un popolo o ad una religione. Le parole di Paolo e Barnaba sono dono di un messaggio di salvezza ed insieme critica a tutte le religioni che rinchiudono e non accolgono il disegno di Dio che va oltre le costruzioni e strutture religiose umane. Indicano così l’orizzonte della fede nella promessa di Dio. La scelta di universalità affonda le sue radici nelle benedizioni di Dio per Israele e per tutte le nazioni. Paolo e Barnaba ad Antiochia sperimentano che la parola di Dio è fonte di gioia e di forza. Le loro scelte sono condotte con il coraggio, la franchezza che deriva dalla fede. Pur tra le difficoltà “i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito santo”. L’apertura dell’annuncio ai pagani è opera dello Spirito che conduce a vivere la gioia e la serenità profonda anche nel momento della prova.
L’immagine del gregge e del pastore al cuore della pagina del vangelo offre una declinazione di questo messaggio di apertura. Gesù parla di coloro a cui è inviato con l’immagine delle pecore. C’è un rapporto di ascolto e di intimità unico: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Ma l’orizzonte a cui Gesù guarda è sempre più vasto e va oltre ogni chiusura. Queste parole vanno intatti accostate alla parte iniziale della similitudine del pastore: “E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore” (Gv 10,16-17)
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La cura del pastore sta nel poter dare loro la vita eterna: nel linguaggio giovanneo ‘vita eterna’ non è qualcosa di fumoso ed estraneo all’esistenza ma indica la risposta alla sete più profonda di vita che ogni persona porta nel cuore. Vita eterna significa essere accolti e amati, sperimentare la comunicazione e la pace nell’incontro con Dio – fonte della vita -. Nell’incontro con Gesù questo dono fa sorgere possibilità di rapporti nuovi con gli altri. Per questo la vita eterna inizia sin dal presente di color che accolgono la parola di Gesù, ed accolgono il dono dell’incontro con lui che si attua nel conoscerlo.
La pagina dell’Apocalisse testo profetico di annuncio della fede in un tempo di prova e persecuzione presenta la visione di una moltitudine immensa. Il dono di salvezza abbraccia ogni popolo. “Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani”. E’ questa la moltitudine di coloro che hanno vissuto la prova, provengono da ogni dove e hanno tra le mani i segni della vittoria sul male. Sono volti di una moltitudine che ha sofferto ed è stata vittima della violenza. Segue una reinterpretazione del salmo 23, rivolto a Dio come pastore d’Israele. La visione termina con una parola di speranza e di consolazione: “Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”.
La presenza di Cristo risorto, indicato nella figura dell’agnello ferito e in piedi, è al centro di una comunione che si estende a comprendere tutta l’umanità condotta alle sorgenti della vita, quando Dio stesso asciugherà ogni larcima. La sua presenza apre speranza di vita per tutti.
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