“Si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei, i quali negano che vi sia risurrezione…”. La questione di fondo posta a Gesù dai sadducei è una provocazione riguardo ad un tema dibattuto nelle scuole religiose del tempo. I termini in cui è posta la domanda esprime una curiosità superficiale e banale: di chi sarà moglie nella risurrezione una donna che ha avuto sette mariti in terra?
I termini sono quelli del possesso, della sottomissione, di unfuturo pensato come riproposizione di dinamiche di potere. Una domanda che intende manifestare l’assurdità di una vita dopo la morte. Tuttavia la sfida implica questioni più profonde e Gesù non risponde alla domanda ma rinvia alla fede nel Dio vivente.
Nel Primo testamento si può scorgere uno sviluppo e maturazione di comprensione sulla vita oltre la morte. In una fase più antica il senso della vita era individuato nel suo compiersi nel benessere, nella pace, nell’abbondanza di beni visti come doni di Dio. I giusti possono così godere del numero degli anni, della serenità dei rapporti, dei doni della provvidenza. La morte reca i tratti di un ritorno alla terra. E’ questa la linea sostenuta dai sadducei che limitavano la loro religiosità alla Torah.
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Ma nella Bibbia si fa strada nel tempo anche un’altra comprensione. Vi sono infatti testi che invitano a non temere la morte per aprirsi ad una speranza per una vita che rimane indefinita ma ha suo fondamento nella fedeltà di Dio che non può abbandonare alla morte i suoi figli: “Ma io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria” (Sal 73,23-24). “…Dio potrà riscattarmi, mi strapperà dalle mani della morte” (Sal 49,16). La morte vista come regno delle ombre (lo sheol) non ha l’ultima parola, perché Dio è più forte. “… non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 16,10-11). L’accento è posto sulla fedeltà di Dio che non viene meno e si fa appello alla fede dei giusti. Così nel libro della Sapienza il giusto è presentato come colui che sta nelle mani di Dio e sperimenta la sua fedeltà (Sap 3,2). La speranza in una vita oltre la morte giunge a maturazione nella dolorosa vicenda dei fratelli Maccabei (2Mac 7; cfr, Dan 12,1-4). In queste linee matura all’interno dell’ebraismo un pensiero sulla risurrezione che Gesù condivideva.
Di fronte alla provocazione dei sadducei Gesù richiama le promesse di Dio. Non risponde alla casistica e nel suo silenzio critica un modo di pensare la risurrezione come una continuazione della vita terrena. Il suo messaggio richiama al Dio dei viventi, alle promesse fatte ad Abramo Isacco e Giacobbe. E’ il Dio dell’alleanza che continua a comunicarsi ai discendenti di Abramo. La vita oltre la morte non deve esser considerata quale proiezione di una condizione terrena. La risurrezione è dono di comunione con Dio in una novità assoluta in relazioni nuove di amore che iniziano nel presente.
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L’incontro con Dio è perciò esperienza che inizia nella vita umana e non rimane chiusa, non si limita ad una questione individuale, ma è comunione con Lui e con gli altri. Gesù invita a coltivare tale incontro sin dal presente, a scoprire il volto di Dio come Dio dei viventi, a non disperdersi in curiosità che sviano e celano una pretesa di dominare anche su Dio. Credere nella risurrezione è affidarsi al Signore dei viventi, al suo progetto di vita in pienezza e buona per tutti. Gesù richiama così a rendersi disponibili a questo disegno sin d’ora, nel condividere le sue scelte di vita e non di morte.
Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.