“Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora vivo, trionfa”. L’annuncio della Pasqua è testimonianza che il crocifisso, appeso ad una croce, proprio lui è veramente risorto, ha vinto i lacci della morte e ora vivo apre la strada a tutti coloro che dalla sua morte sono stati liberati, che a lui si affidano nel percorso del credere.
“E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (prima lettura).
Il IV vangelo presenta il mattino di pasqua nel segno del ‘correre’ e del ‘vedere’. Maria di Magdala si reca al sepolcro ‘e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo’. Dopo il suo annuncio inizia una nuova corsa, quella di Simon Pietro e del discepolo che Gesù amava: ‘correvano insieme tutti e due’. E’ quasi una rincorsa dal sepolcro ai discepoli, dai discepoli al sepolcro. Maria vide e corse, Simon Pietro e l’altro discepolo correvano insieme. Giunge per primo il discepolo e vide, ma non entrò.
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Poi giunse Simon Pietro che ‘entrò nel sepolcro e vide le bende per terra e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non con le bende per terra, ma poggiato in un luogo a parte’. I segni lasciati inducono a pensare non ad un furto, non ad una forzatura peraltro impossibile della grande pietra, ma all’andarsene con calma di chi ha avuto il tempo di lasciare in buon ordine le bende e il sudario piegati; eppure il sepolcro vuoto e i segni non sono la prova della risurrezione. Infine entrò anche il discepolo ‘e vide e credette’.
Il progressivo correre e rincorrere di quella mattina del giorno dopo il sabato segnato dal molteplice vedere, di Maria, di Simon Pietro, del discepolo, si conchiude con un ‘vedere’ particolare: ‘e vide e credette’, un vedere che apre al credere e che penetra i segni per cogliervi il senso profondo: non è il vedere di uno spettatore o di un curioso o di un allibito osservatore, ma di un discepolo coinvolto e partecipe.
E’ un vedere che coinvolge ed è possibile solamente in un contesto di affidamento e di affetto: colui che vide e credette era il discepolo che Gesù amava. Il credere della fede – ci suggerisce il IV vangelo – sgorga laddove è presente uno sguardo capace di andare al di là e al di dentro, lo sguardo proprio dell’amore. Il vedere del discepolo è di tipo diverso dal vedere i medesimi segni sperimentato da Maria e da Simon Pietro: lo sguardo dell’amore precede non solo giungendo prima al sepolcro, ma anche attendendo che giunga Simon Pietro, che sarà posto a pascere le pecore affidate a lui da Gesù (cfr. Gv 21,15-19), e giungendo prima anche nel credere affidandosi. Tuttavia il brano si chiude con una osservazione che rinvia ad un percorso ulteriore del credere: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti”.
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Il credere che Cristo, il crocifisso, è risorto, conduce ad un nuovo modo di concepire la nostra esistenza, in rapporto con lui: egli ha operato una novità assoluta nella nostra esistenza con la sua risurrezione. E’ l’annuncio di Paolo ai Corinti (seconda lettura): la nostra pasqua, Cristo, è stata immolata. Rinviando alla tradizione della pasqua ebraica, Paolo invita a togliere ogni lievito vecchio, segno di impurità e di malizia. Pasqua è dono di ricominciamenti, nuiovo sguardo sulla vita, speranza oltre ogni speranza.
Per gentile concessione di p. Alessandro – dal suo blog.
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.