Il tema dell’uso dei beni e del senso della vita in rapporto ai beni sta al centro delle letture di questa domenica.
Qohelet, il predicatore ha uno sguardo disincantato e disilluso. Anche di fronte a tutto ciò che nella vita appare pienezza e successo. Qohelet denuncia la vanità, la condizione di essere come spuma nel mare che svanisce, come nebbia al mattino. Non solo il godimento delle ricchezze ma la vita nel suo complesso è colta nel suo essere passaggio momentaneo e presto dissolto. Non solo ma Qohelet osserva con realismo che anche chi ha lavorato con sapienza e successo dovrà lasciare i suoi beni ad altri che non hanno faticato. E questo appare cosa ingiusta ed è indicato come vanità. Qohelet conosce la bellezza della vita umana, ma è osservatore disincantato e denuncia le contraddizioni e l’inconsistenza di tante cose fino a dire che tutto è flebile.
Nella pagina di Luca Gesù è posto davanti ad una richiesta di farsi giudice in un caso di divisione di eredità. Ma si sottrae a questo. Lascia spazio alla responsabilità e all’autonomia delle scelte per quello che riguarda l’uso dei beni. Non indica codici di regole da seguire. Richiama invece ad un orientamento di fondo: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”.
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Tre parole possono essere colte in questo avvertimento. La prima è attenzione: Gesù richiama ad essere attenti, nelle piccole e nelle grandi cose. L’attenzione si oppone alla superficialità, alla faciloneria, al dare tutto per scontato, a quell’attitudine distratta che diviene indifferenza e disinteresse per le cose, per gli altri. La seconda parola è cupidigia: Gesù richiama a tenersi lontani dalla insaziabile tensione ad aver sempre di più, dal desiderio smodato di accumulare, dalla spirale che investe ogni energia e preoccupazione della ita nell’orizzonte delle cose da possedere.
E’ in fondo una forma di idolatria che si manifesta nel porre i beni o il denaro come motivo di fondo dell’esistenza al di sopra di tutto. Una terza parola è dipendere: Gesù apre la domanda su qual è il criterio che orienta le scelte della vita. E indica che la vita non deve dipendere ai beni: in tal modo suggerisce uno sguardo nuovo da maturare sulla vita e sugli altri. Contrariamente ad un modo di valutare le persone in base a quello che hanno, ai loro beni o alle loro ricchezza di ogni tipo, Gesù indica un nuovo sguardo possibile che riconosce dignità e valore a tutti, in particolare a chi è privo di beni. E fa scorgere come ciò che si oppone all’accumulo e al dipendere dai beni è la scelta della condivisione, il porre al primo posto le relazioni e non le cose, l’impegno a condividere con chi non ha beni sufficienti per vivere.
Nella parabola che segue il ricco è testimone di una stoltezza che non valuta il senso del tempo e la fragilità della vita. In Siracide si può già trovare una descrizione del ricco preoccupato ad immagazzinare beni e ignaro di tutto: “C’è chi è ricco a forza di attenzione e di risparmio; ed ecco la parte della sua ricompensa: mentre dice: ‘Ho trovato riposo; ora mi godrò i miei beni’ non sa quanto tempo ancora trascorrerà; lascerà tutto ad altri e morirà” (Sir 11,18-19).
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Tale riferimento della tradizione sapienziale viene ripreso nella parabola di Gesù. Quel ricco è indicato come stolto perché non sa scorgere nel tempo un’occasione per rispondere alla chiamata del regno di Dio. E’ la stoltezza che fa gravitare la vita attorno ai beni – accumulare tesori per sé – e nell’indifferenza verso gli altri ed impedisce di arricchire presso Dio: è questo il grande rischio a cui Gesù chiede di porre attenzione per orientare la vita sulle vie della condivisione.
Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.