Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.
I compaesani di Gesù, i più vicini, si comportano verso Gesù ricercando privilegi. Pretendono di conoscere Gesù in quanto uno dei loro, per appartenenza familiare e sociale, e la loro preoccupazione, di fronte ai suoi gesti di guarigione di liberazione, mira a trarre vantaggio dalla sua presenza ponendolo in una contrapposizione tra ‘noi’ e ‘gli altri’.
Ma Gesù segue un’altra logica: il suo agire non mira al successo, all’affermazione, non mira neppure a suscitare stupore per il prodigioso. E’ lontano da una religiosità dei miracoli. Con i suoi gesti intende comunicare una bella notizia per i poveri: è iniziato un nuovo tempo in cui vivere un rapporto con Dio e con gli altri nell’orizzonte della fraternità. Nel suo agire si rivolge ai poveri, ai dimenticati, a coloro che sono considerati ‘gli altri’, gli esclusi dai circuiti della ricchezza e della religione.
Così i compaesani pretendono da lui segni. Ma Gesù ricorda due episodi presenti alla memoria di Israele. Sono racconti di segni prodigiosi avvenuti nella quotidianità e al di fuori dei confini stabiliti. In essi sono protagonisti due profeti, Elia e Eliseo e due figure di pagani, una vedova e un lebbroso. Questi racconti contengono il messaggio che l’amore di Dio è per tutti e soprattutto Dio sceglie i poveri, coloro che si aprono a Lui senza avere potere e sicurezze umane. Ogni pretesa di trattenere Gesù di considerarlo ‘dei nostri’ è così resa vana, come pure quella di pensare di rinchiuderlo entro ciò che si conosce di lui.
Ricordando la vedova di Sarepta che non aveva più nulla da mangiare nel tempo della carestia e accoglie nella sua casa il profeta Elia e Naaman il lebbroso recatosi da Eliseo varcando confini non solo geografici, Gesù contesta una religiosità fatta di pretese, di privilegi, di appartenenze, di ricerca di vantaggi, che in fondo nasconde solo un sete di potere.
Ma è proprio questo a suscitare sospetto e rifiuto, perché pone in crisi ed apre a necessità di cambiamento nel modo di intendere i rapporti con l’altro. Tutto questo non è accettato dai suoi compaesani di Nazareth: “pieni di sdegno si levarono, lo cacciarono fuori dalla città…”. Questo rifiuto manifesta la falsa ricerca di chi insegue un volto Dio che risponda a proprie pretese di superiorità e bisogni.
I due esempi ricordati indicano che la fede è presente e vive al di là dei confini stabiliti, è cammino aperto a tutti, sta nei percorsi dei poveri che sanno aprirsi all’accoglienza e si mettono in cammino. Nella visita di uno straniero o negli incontri quotidiani si attua il segno, cioè miracolo, della visita di Dio. Per questo Gesù si dirige verso Cafarnao la città straniera. Ripercorre così i passi dei profeti: “Nessun profeta è accetto nella sua patria’.
Gesù viene quindi presentato da Luca con il profilo del profeta. Accoglie su di sè e fa propria la parola di Geremia: “Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò… io sono con te per salvarti”.