“io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”.
La porta delle pecore. A Gerusalemme c’era una porta che aveva quel nome: porta delle pecore o porta bella. Conduceva ad una grande raccolta di acque, la piscina degli agnelli (piscina probatica – probaton significa agnello) in ebraico Betzatà (Gv 5,2). Gli animali venivano qui purificati prima di essere condotti al Tempio per essere sacrificati. Era una porta di ingresso alla città e conduceva al tempio.
Questa porta fu la prima porta ad essere stata ricostruita nell’opera di rifacimento delle mura di Gerusalemme al tempo di Neemia (Ne 3,1) dopo il ritorno dall’esilio, quando vennero ricostruite le porte della città, e questa porta conduceva al Tempio.
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Nell’allusione di Gesù alla porta delle pecore c’è riferimento quindi al tempio, un elemento così presente e importante in tutto il IV vangelo. Un riferimento al tempio compare sin dall’inizio del vangelo infatti: Gesù si era riferito al tempio per parlare del suo corpo. “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere… egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,19.21). Nell’incontro con il cieco nato Gesù dice: “Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo” (Gv 9,5) E pronuncia queste parole nella festa in cui nel tempio venivano poste delle fiaccole che illuminavano tutta la città.
Infine dice: ‘io sono la porta’ ed ancora si rende vivo il rinvio al tempio. Da quella porta le pecore passavano prima di essere poi sacrificate nel tempio. Gesù apre ad un nuovo modo di intendere la vita e l’incontro con Dio stesso che aveva nel Tempio il suo segno più alto. Il tempio era infatti luogo dell’incontro e al tempio si svolgevano tutti i riti legati al ricordo del Dio dell’alleanza e che coinvolgevano tutto il popolo nel cammino della fede. La parola di Gesù non si contrappone al tempio ma ne scorge un compimento nella sua presenza e per questo apre ad un altro orizzonte. Gesù si pone come porta che non conduce alla morte ma alla vita, non vuole il sacrificio ma la misericordia secondo le indicazioni dei profeti.
La sua vita è orientata all’amore sino alla fine (Gv 13,1), al dono come seme gettato. Gesù propone la sua presenza quale porta che apre ad un’accoglienza aperta. Per pecore di diversi ovili. E’ la logica del dono che lascia entrare e uscire, che non racchiude. Non è una porta che trattiene, ma soglia che lascia passare per trovare possibilità di vita nuova in una relazione in cui essere accolti. Un tempio che è corpo, una porta che è presenza accogliente, una via che lascia possibilità di entrare e uscire.
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Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.