Matteo presenta Gesù che si presenta in atto di insegnare, seduto, dal monte. Può essere un riferimento al Sinai ed al ‘monte’ della legge, ma Gesù non indica una nuova legge. Si rivolge a tutti coloro che chiama a seguirlo e indica un compimento, una piena fioritura della legge e ne richiama l’importanza. Da un lato dice “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17). D’altra parte presenta l’orizzonte di una ‘giustizia più grande’: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20).
La modalità retorica dell’inclusione aiuta a scorgere la struttura del brano delle beatitudini. La prima e l’ottava, ultima, sono infatti unite dal riferimento “perché di essi è il regno dei cieli”. Ed è così richiamato il nucleo dell’annuncio di Gesù. Il regno di Dio è vicinanza nuova ai poveri e agli oppressi da parte di Dio stesso.
Beati (makárioi) – ripetuto nove volte fino al v. 11 – significa ‘felici’, ‘fortunati’, ‘beati’. E’ espressione presente nei salmi, nei libri sapienziali e a Qumran: [Beato chi dice la verità] con cuore puro e non calunnia con la propria lingua. Beati quelli che si attaccano ai suoi decreti e non si attaccano a comportamenti peccaminosi. Beati quelli che gioiscono in essa senza spargersi sulle vie della follia…”. (4Q525 2 II, 1-6)
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“Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”. Matteo indica che sin dal momento presente, da ora, i poveri sono beati. ‘Poveri’ rende l’ebraico ‘anawim: indica coloro che sono privati di ogni appoggio materiale, che non hanno ruolo a livello sociale e sono oppressi, tenuti in disparte. Matteo sottolinea la condizione interiore dei ‘poveri in spirito’ mentre Luca dà accento alla condizione materiale. Sono beati perché Dio sin da ora interviene a loro favore e si pone loro accanto.
“Beati gli afflitti”: Il verbo usato al participio rinvia a chi vive situazioni di sofferenza e di pianto. Sono tutti coloro che soffrono perché le vicende non si svolgono secondo la volontà di Dio; è evocazione del dolore di Gesù che piange su Gerusalemme (cf. Lc 19,4). Il verbo al futuro suggerisce che la consolazione è una promessa che verrà.
“Beati i miti”: il termine al plurale indica coloro che attuano la virtù che vince l’ira ed è vicina alla condizione degli anawim, i poveri di YHWH, che si comportano con umiltà e nonviolenza.
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La quarta beatitudine è rivolta “agli affamati e assetati di giustizia”. Fame e sete indicano spesso nella Bibbia la tensione ad accogliere il dono di Dio: “Ecco, verranno giorni, dice il Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore” (Am 8,11-12).
“Beati i misericordiosi”, come le beatitudini seguenti è propria di Matteo e suggerisce una attitudine morale. Il termine utilizzato (diversamente da Luca che usa un lemma indicante la compassione – come Dio è misericordioso (cf. Os 1,7) – reca un significato fattivo. Il profilo dei misericordiosi è di chi si prende concretamente cura e coltiva uno sguardo di indulgenza (come nella preghiera del Padre nostro).
“Beati i puri di cuore”: è l’unica beatitudine oltre alla prima, costruita in modo analogo (puri di cuore). Nel libro dei Proverbi si legge : “Il Signore ama chi è puro di cuore e chi ha la grazia sulle labbra è amico del re” (Prv 22,11). Nella Bibbia ‘cuore’ è luogo delle scelte e degli orientamenti della vita, è nucleo in cui si prende la decisione di servire il Signore (cf. Dt 6,5: “con tutto il cuore”).
Beati i facitori di pace (eirênopoioi). Sono indicati beati coloro che si impegnano operativamente e lavorano per la pace. Si tratta di una attitudine di coinvolgimento che è tutto il contrario di riposare in una condizione di tranquillità: “Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace” (Gc 3,18). Ad essi è promessa una relazione unica, essere figli del Dio della pace: “Saranno chiamati figli di Dio”.
L’ultima beatitudine è rivolta ai perseguitati per la giustizia e si ricollega alla prima nell’indicazione ‘ad essi appartiene il regno dei cieli’: sono perseguitati per la fedeltà al vangelo, nella tensione a compiere la volontà di Dio (la giustizia). Essi sono invitati alla gioia facendo propria la via dei profeti. L’esistenza cristiana, annuncia Gesù, è un’esistenza di persone libere, che hanno fiducia in Dio, essenziali, capaci di condividere perché seguono Gesù stesso sulla sua strada. E’ lui il vero ‘beato’ che si è fatto povero ed ha concepito la sua vita come dono.
Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.