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p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 28 Aprile 2024

Domenica 28 Aprile 2024
Commento al brano del Vangelo di: Gv 15, 1-8

L’immagine della vigna è familiare ad Israele ed alla Bibbia; l’ulivo con la vite è parte del panorama mediterraneo.

La vigna ritorna tante volte nei testi biblici: è segno del popolo d’Israele che Dio guarda con cura appassionata. E’ segno di promessa e benevolenza. D’altro lato parla di infedeltà, di dimenticanza e di durezza di cuore.

Anche nel IV vangelo la vite è immagine ripresa nei discorsi dell’ultima cena: attorno ad essa è tessuto il secondo discorso di addio di Gesù ai capp. 15 e 16, che succede in modo un po’ problematico al primo discorso che occupa i capp. 13 e 14 perché questo termina con le parole: ‘Alzatevi, andiamo via di qui’ (Gv 14,31).

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Il riferimento alla vite si può accostare alla benedizione  sul vino, uno dei momenti del rito della pasqua ebraica. In tale contesto il richiamo alla vigna con le sue valenze di dolcezza e cura ma anche di drammatica infedeltà e giudizio, è ripresa. Gesù dice: ‘Io sono la vera vite’ e la vite diventa uno degli elementi che compare in una di queste formule ‘Io sono’ che il IV vangelo usa per indicare l’identità di Gesù.

La vite passa da essere rinvio ad Israele ad indicare la presenza stessa di Gesù: la vera vite è lui. Nella metafora si può cogliere la sua vicenda personale ma anche la dimensione comunitaria, la comunicazione di vita che da lui proviene. In lui si compie la cura e la fedeltà colma di affetto del Padre che la vite come simbolo racchiudeva. Ancora è lui che porta quei frutti che il Padre si attendeva: frutti di misericordia. Sono giunti allora in lui i tempi ultimi.

Ma nelle parole di Gesù questa identificazione della vite con la sua persona si apre anche ad un altro aspetto: in lui si compie una comunicazione nuova, una comunione di vita. Tutti coloro che a lui sono uniti e traggono la linfa che da lui proviene sono colore che credono nel suo nome: sono tralci viventi della sua stessa vita e potranno portare frutto in questo legame.

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‘Rimanete in me’ è l’invito ripetuto più volte in questa pagina: all’inizio del IV vangelo alla domanda di Gesù ‘Che cosa cercate?’ i discepoli lo seguirono e ‘rimasero’ presso di lui lui (Gv 1,39). Il verbo ‘rimanere’ dice una familiarità di vita, un legame di amicizia, una intimità di condivisione. L’offerta di amicizia di Gesù ai suoi genera una reciprocità: i tralci rimangono nella vite ma è anche Gesù che rimane nei suoi e sta qui la possibilità di portare frutto.

L’essere discepoli di Cristo si attua nei frutti che esprimono lo stile della sua presenza e il senso della sua vita. Gli stessi tralci non vivono da soli, distaccati gli uni dagli altri, ma insieme: Gesù propone ai suoi un ‘rimanere’ che implica accogliere e vivere come comunità. Motivazione e forza dello stare insieme sta nella forza di vita che da lui proviene. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.

Per gentile concessione di p. Alessandro – dal suo blog.


p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

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