“Mostratemi la moneta del tributo! … rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”
Tutta la Bibbia è segnata dal principio dell’alterità: Dio è altro rispetto all’uomo e rispetto al mondo. Ma proprio questa alterità sta alla base di una storia di incontro: è una relazione sempre aperta, e ‘sfidata’: ‘veramente tu sei un Dio misterioso…’. Questa alterità non solo afferma che esseri umani o elementi della natura non possono Dio, ma implica che Dio è l’altro in relazione: è il Dio che fa alleanza. Egli per primo pre rapporti e la sua comunicazione è dono per costruire una storia di liberazione. Per questo la relazione con l’altro è luogo in cui incontrare l’inaccessibile volto di Dio.
L’espressione di Gesù ‘Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio’ va situata nel dibattito sul dovere o meno di pagare le tasse al tempo di Gesù. Ma con una prima variazione. Gesù utilizza il verbo rendere, restituire. Pone la questione su di un altro livello e conduce a leggere la vita stessa nei termini dell’accoglienza di un dono e di un movimento di restituzione.
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Per gli ebrei del I secolo in situazione di sottomissione all’occupante romano la questione delle tasse era assai sentita. Nelle monete era scolpita l’effigie dell’imperatore con il titolo divino e ai romani andava data una tassa particolare. Le parole di Gesù dicono innazitutto con chiarezza la distinzione tra una sfera di Cesare, il mondo della politica fatto scendere dal piedistallo del divino, e quanto compete a Dio. A Cesare vanno pagate le tasse perché la sfera economica è di competenza dello Stato. E’ affermazione che pone una separazione tra la sfera religiosa e quella dello stato, tra la fede e la politica.
D’altra parte pone anche un’altra esigenza di rendere a Dio ciò che compete a Dio. E’ tutta la vita umana – nella molteplicità dei suoi aspetti – nel suo essere ‘ad immagine’ che va restituita a Dio stesso scoprendola nell’orizzonte del dono, da ricevere e da restituire. Se nelle monete c’è l’effigie di Cesare è nel volto delle persone, uomini e donne viventi, che traluce l’immagine di Dio. A Dio va ricondotto il riferimento dell’esistenza. La competenza di Cesare, che non è ‘divo’, avrà solo alcune dimensioni e non potrà mai essere un riferimento assoluto.
Immagine è parola che sta al centro di questo confronto ed è rinvio a Gen 1,26: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine somigliante…’. La creazione stessa dell’uomo è evento di relazione, di dono e restituzione. ‘Dio creò l’umano a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò’ (Gen 1,27). Uomo e donna nella loro diversità, ma anche nell’unità che costituisce l’umano, sono ad immagine del Dio che si apre al dono di sé, che comunica la sua vita nel lasciar spazio all’altro da sé nell’opera creativa.
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I discepoli di Gesù sono chiamati innanzitutto a non confondere l’immagine di Dio con l’immagine di Cesare, a non identificare il divino in una forza politica o in un governo umano. E’ Dio l’unico signore che sta oltre ogni realizzazione umana. Sono poi chiamati a riconoscere l’immagine di Dio presente in ogni persona. Nel volto dei piccoli è da riconoscere l’immagine a cui restituire dignità, possibilità di vita, pace. La storia ha visto e vede vari tipi di asservimenti della religione ai Cesari o a dominatori che si sono impoti per la loro potenza economica. Per contro negli stati teocratici Dio è stato confuso con un modello di potere mondano.
Nella storia però non sono tuttavia mancati momenti in cui i credenti hanno vissuto il rifiuto di ogni imperatore e anche oggi resistere all’impero che pretende di tutto assogettare al potere del denaro, della violenza e del dominio economico è una sfida aperta per riconoscere e restituire a Dio ciò che è di Dio, la vita dei suoi poveri.
Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.