p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 20 Novembre 2022

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“Il Signore disse a Davide: tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele”. Ad un certo punto della sua storia, Israele, nato dal cammino di fede di Abramo ed che trova l’evento fondante della sua vita nella liberazione dall’Egitto, attorno al X secolo a.C. visse un passaggio decisivo non senza difficoltà e polemiche. Iniziò a strutturarsi come monarchia, un modo di governo presente tra i popoli vicini, grandi imperi e regni più piccoli.

Il re in Israele tuttavia ha un profilo particolare proprio in rapporto al percorso specifico di questo popolo, alla sua fede in YHWH. Il re deve ‘pascere’ il popolo, non ha potere di vita e di morte sui suoi sudditi, tanto meno è considerato divino (diversamente dal faraone nel mondo egiziano). Il re ha il compito di pastore e suo compito sta nell’essere ‘luogotenente’ dell’unico Dio, creatore e signore del popolo d’Israele. Per questo viene unto con una consacrazione che è incarico per una missione. Deve dare attenzione al povero alla vedova e al forestiero, perché Dio si preoccupa dei più indifesi.

L’attesa che sorge in Israele per un futuro di liberazione e pace, si collega alla figura di un re giusto. Al re Davide, che voleva costruire un tempio a Dio, Il profeta Natan annuncia la promessa di Dio: non sarà Davide  a costruire una casa a Dio, ma sarà Dio stesso che costruirà una casa vivente, una discendenza: “Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio” (2Sam 7,14). Il messia sarà re di un ‘resto’, piccola parte del popolo che rimane fedele a Dio nonostante le prove, ponendo in lui ogni fiducia. YHWH rimane per Israele l’unico re (Gdc 8,23) liberatore e salvatore. Il messaggio di pace annunziato dai profeti è: ‘Il Signore regna’ (Is 52,7; Sal 96,10).

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L’annuncio del regno di Dio sta al centro della predicazione di Gesù. “se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” è lo scherno che gli rivolgono le folle durante la sua passione. Sopra il suo capo sulla croce la scritta: ‘Questi è il re dei Giudei’. Il malfattore sulla croce accanto a Gesù si rivolge con una preghiera: ‘Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno’. Gesù è vicino a due malfattori, come in tutta la sua vita ha vissuto accoglienza agli esclusi. Gesù accoglie la preghiera di chi gli chiede ‘ricordati…’ e l’ultimo momento della sua vita è dono di ascolto e di liberazione. Luca fa scorgere proprio nel momento della morte, nella tragica ora della crocifissione,  in che modo Gesù sia re: un re diverso dal modo umano di concepire il dominio. E’ un re che non spadroneggia ma vive la debolezza e l’inermità dell’amore: regna appunto ma dalla croce e lì manifesta quella signoria di cui aveva parlato nelle sue parole e nei suoi gesti. Signoria del dono, del servizio, dell’accoglienza.

Attua un regno in cui la sua parola di perdono è creatrice. Sulla croce, nell’ora ultima della sua vita, Gesù continua l’opera che ha ricevuto dal Padre: comunica un amore che ha i tratti della misericordia e della salvezza. E’ questo il “messaggio” che sta al centro dell’intero vangelo di Luca: Gesù “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19, 10) e in questo rivela il volto del Padre. Libera così dalla morte e fa entrare nella comunione con Dio. Il suo regno è dono, è coinvolgimento nella sua vita. E’ per i piccoli e i poveri e va accolto in libertà scorgendo sin dal presente i segni del suo crescere, come nelle parabole Gesù aveva insegnato.

Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi

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p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.