p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 20 Febbraio 2022

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p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

I libri di Samuele, parte dei libri storici della Bibbia, ripercorrendo le storie dei re, scorgono la presenza di un disegno divino nella storia e che procede attraverso il coinvolgimento di chi, pur tra limiti e contraddizioni, accoglie la Parola di Dio nella sua vita. La storia di Davide è un esempio di questa vicenda. 

Davide, inseguito da Saul nel deserto, anziché scegliere la via della vendetta decide di non mettere le mani sul re, consacrato del Signore. La situazione gli consentirebbe facilmente di vendicarsi di Saul e di ucciderlo, ma si affaccia al suo cuore una scelta diversa: «Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?… oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore». Davide diviene così esempio del non cedere alla logica della vendetta e del rispondere al male con il male.

Tale episodio evoca la cosiddetta regola d’oro presente in tante tradizioni religiose sia in formulazione al positivo, ad es in Lao-T’zu “Considera il guadagno del tuo vicino come il tuo e la sua perdita come la tua stessa perdita” (Lao T’zu, T’ai Shang Kan Ying P’ien, 213-218) sia al negativo ad es. nell’insegnamento induista “Questa è la sintesi del dovere: non fare agli altri ciò che sarebbe causa di dolore” (Mahabharata 5: 1517) e islamico “Nessuno di voi è credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso” (13° delle 40 hadith di Nawawi) e presente anche nella tradizione ebraica “Non fare a nessuno ciò che non piace a te” (Tb 4,15).

Nel vangelo di Luca questa medesima indicazione è posta da Gesù al centro del suo discorso subito dopo le beatitudini in una particolare formulazione al positivo: “Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro” (Lc 6,31). Il discorso offre anche altri elementi precisando che lo sguardo nei confronti dell’altro va allargato oltre ogni confine. Non solo i vicini o coloro da cui si riceve del bene devono essere destinatari di questo ‘fare’ di attenzione e cura, ma anche chi è oppositore, chi ha offeso, chi è nemico: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”. Fare del bene senza sperarne nulla è umanamente difficile e impossibile, ma sorge dall’accoglienza di un amore che si dà in questi termini. Gesù ha espresso questo insegnamento che corrisponde al suo agire, nel silenzio di resistenza davanti ai suoi persecutori e nella scelta di non usare violenza.

Seguono tre esempi: lo schiaffo, il mantello e il prestito: “A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.” Emerge qui la richiesta di una opzione radicale per un orientamento di non violenza attiva, nella fiducia che solamente il bene offerto è efficace nel disarmare chi fa il male e diviene fecondo di bene.

Il prestito senza esigere interessi era una prescrizione prevista nell’Esodo e nel Deuteronomio, anche se ristretta a colui che apparteneva al popolo d’Israele (Es 22,24; cfr. Deut 15,7-11; 23,20-21). E’ una tra le caratteristiche del comportamento del giusto presentata nei salmi: “presta denaro senza fare usura e non accetta doni contro l’innocente” (Sal 15,5; Sal 112,5). Gesù estende la richiesta a tutti infrangendo confini di esclusione. Apre a orizzonti universali ed approfondisce e interiorizza le indicazioni della legge. Indica uno stile di vita caratterizzato dalla scelta di fondo del dono, senza calcoli, senza riserve. In gioco c’è una ricompensa che non è ‘qualche cosa’ ma è accogliere e generare in sé l’amore di misericordia: è vivere della stessa vita di Dio misericordioso.

“Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto”. L’insistita ripetizione che delinea un amare rivolto solamente a chi dà gratitudine e  ricambia smaschera la ricerca di interesse e il desiderio nascosto di ricevere. Il richiamo alla gratuità nel dare senza fare conti mette in crisi e l’assimilazione ai peccatori indica che comportarsi così non attua la profonda chiamata al cuore della vita. “Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”. Gesù non evoca vantaggi per chi si comporta con gratuità, sfida ad amare anche il nemico; richiama alla sorgente generativa di questo tipo di vita che non è nelle forze umane ma nella vicinanza del Dio misericordioso. Luca sottolinea l’attitudine dell’ascolto che sola permette di accogliere l’amore di misericordia di Dio: il Padre non solo è modello, ma è fonte e principio da cui è possibile trarre linfa di vita per agire secondo questo stile.

Nel vangelo di Matteo, nel discorso della montagna compare l’espressione: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Luca, modificando un termine, evidenzia nell’amore di misericordia la caratteristica propria di Dio. Seguire Gesù allora significa lasciarsi coinvolgere in tale dono di amore con i tratti della gratuità, della cura e attenzione.