‘Eccomi manda me’: è la risposta di Isaia, sacerdote di Gerusalemme che mentre svolgeva il culto nel tempio risponde all’irruzione del Santo nella sua vita. E’ esperienza sconvolgente di chiamata ad essere profeta da lui narrata con i tratti della visione: un angelo che accosta alle sue labbra un carbone ardente dell’altare, in atto di purificazione e di invio per annunciare le parole di Dio.
Da quel momento inizia la sua avventura di profeta. Così si pone di fronte ad Acaz, re d’Israele e gli annuncia la futura nascita di un ‘Emmanuele’, un re giusto erede di Davide: si comporterà in modo ben diverso dai re infedeli, come lo stesso Acaz alla ricerca di sicurezze e alleanze militari. L’Emmanuele sarà esempio di abbandono nella fiducia nel Dio dell’alleanza che solo può dare l’autentica sicurezza. E vi sarà un piccolo gruppo di credenti, il ‘resto d’Israele’, che rimarrà saldo in questa fiducia: “si appoggeranno sul Signore, sul Santo d’Israele, con lealtà” (Is 10,20).
Dal punto di vista storico la figura di questo Emmanuele, re fedele a Dio, è da identificare nel figlio di Acaz, Ezechia, descritto come sovrano pio. Ma l’annuncio di Isaia reca in sé un orizzonte di speranza e ad un’attesa più profonda (cfr. Is 11,1-16): Dio stesso stabilirà il regno del messia (il suo unto) come situazione nuova di pace: “la pace non avrà fine” (Is 9,5-6). Isaia quindi indica in questo bambino un segno, e rinvia ad una speranza oltre i confini del tempo.
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Matteo ha presente i testi di Isaia mentre scrive il suo vangelo. Per Matteo Gesù compie le promesse che Isaia aveva delineato. L’annuncio della sua nascita riprende schemi ben noti: la presenza di un angelo, il nome, una difficoltà da superare, un segno e le caratteristiche del profeta (cfr. l’annuncio di Sansone in Gdc 13,1-24).
Matteo offre così una chiara interpretazione: Gesù si pone nella discendenza di Davide – Giuseppe è infatti chiamato ‘figlio di Davide’ e sarà lui a dargli un nome, ‘tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati’ -.
L’operare dello Spirito Santo è colto sin dal momento iniziale della vita stessa di Gesù. Matteo vuol dirci che la vita di Gesù viene da Dio. A Giuseppe, uomo ‘giusto’ è rivolto l’invito a ‘non temere’ per lasciarsi coinvolgere nell’opera di Dio. ‘Giusto’ significa ‘fedele’ e Giuseppe vive un duplice fedeltà, verso Maria a cui è legato e a cui non viene meno e alla chiamata di Dio. Si abbandona nella fede ad un progetto che lo supera e lo coinvolge prendendo con sè chi Dio gli affida.
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A Giuseppe è anche affidato il compito di dare il nome, e il nome di Gesù significa “Dio reca salvezza”: anche così Giuseppe si rende disponibile al disegno di Dio.
Al di dentro delle nostre esperienze sta una attesa più profonda, l’attesa di un nome, di qualcuno che solo può salvare. Possiamo anche aprirci alla meraviglia che quel ‘nome’ sta oltre ogni nostra attesa e possibilità, è dono e venire gratuito di Dio che libera e salva. Natale è questo annuncio.
Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.