“Come la pioggia scende dal cielo e non vi ritorna senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare perché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca” (Is 55,10)
Lo scendere della pioggia, l’andare del seminatore, l’uscire della parola, sono i tre movimenti che attraversano le letture di questa domenica.
La pioggia scende e arreca un dono di vita che trasforma la terra. Dall’acqua che scende sorge fecondità e possibilità di nutrimento. “Quanto il cielo sovrasta la terra tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”. Dall’alto giunge un nutrimento per la terra e la pioggia è immagine che esprime il dono di Dio che ha pensieri oltre i nostri pensieri. Il ‘pensiero di Diosi esprime nel dono dell’acqua: è gratuità dell’amore, sovrabbondanza di condivisione senza limiti e senza interessi. E’ apertura universale che tocca ogni terreno senza distinzioni. E’ offerta di possibilità di vita per tutti e per tutto.
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Nell’immagine della pioggia sta racchiuso anche il riferimento ad un dono che fa germogliare semi nascosti. Non annulla quanto è già presente e nascosto ma lo porta a fecondità, a maturazione. Lo scendere della pioggia indica un primato della Parola di Dio su ogni frutto, su ogni germoglio che sorge dalla terra. Ogni azione ed opera trova la sua origine in un venire silenzioso della parola di Dio che come acqua irriga e arreca sollievo e forza di vita. L’immagine ben rende il significato racchiuso nella nozione di parola (dabar). Essa indica per prima cosa il dire, l’espressione, ma nel contempo sta a significare anche un ‘fare’, un agire: “Dio disse ‘sia la luce’. E la luce fu” (Gen 1,3). Quando Dio comunica la sua parola, comunica se stesso e la sua forza creatrice di vita: la parola di Dio reca con sé il gratuito operare di Dio per noi, in noi. Come la pioggia e la neve non ritornano al cielo senza aver operato una trasformazione “così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’avevo mandata” (Is 55,11).
E’ ancora il percorso della parola al centro del vangelo che parla dell’azione del seminatore. La parabola ha il suo centro non tanto nella presentazione dei terreni, ma sull’azione del seminatore e sulla forza del seme gettato. Il seminatore sparge il seme senza calcoli, ovunque, su diversi terreni senza preoccupazione di sprecare. Il suo è un agire gratuito che nasconde l’ampiezza di un cuore che ha fiducia nella fecondità del seme, che sa attendere, che sa guardare oltre. Il seminatore esce… il seme cade ovunque. Gesù nel suo parlare in parabole coinvolge gli ascoltatori: parla loro non in modo astruso e lontano dalla vita, li riporta alla loro esperienza. Le parabole hanno la valenza di paragoni e di riferimento all’esistenza che coinvolgono in un movimento di vita. Chi ascolta può riconoscersi protagonista e coinvolto. E chiede: ‘che ne dite?’ cioè, ‘voi, che ascoltate, da che parte vi ponete? Quale decisione intendete prendere riguardo alla vostra esistenza dopo aver ascoltato questo annuncio?’. Di fronte all’azione del seminatore che getta la parola con tanta abbondanza che fare? L’invito è riconoscere questa gratuità, lasciarsi coinvolgere, accogliere l’abbondanza di un dono racchiuso nel seme, metafora della parola di Dio che proviene dall’alto e trasforma la storia.
La parabola è invito alla speranza: alla fine il raccolto sarà abbondante nonostante tutte le difficoltà e i fallimenti: anzi avrà un esito inatteso. La parabola annuncia un volto di Dio con pensieri grandi. Il seme che sembrava sprecato porta frutto oltre ogni previsione e in una misura che genera stupore. Gesù parlava di se stesso aprendo nuovi orizzonti sulla vita ai suoi discepoli e accompagnando a leggere il senso del suo cammino segnato dalle difficoltà e dal fallimento, ma radicato nella fedeltà del Padre: è importante attendere e lasciarsi coinvolgere. Invita anche a riconoscere il proprio terreno, a leggere gli ostacoli che impediscono di accogliere la Parola di Dio nella vita.
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La seconda lettura parla di speranza: tutta la creazione, e noi in essa, è come una donna che sta per partorire. “Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito”. Accogliere la parola di Dio è vivere in questa attesa e in questo impegno con tutta la creazione.
Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.