p. Alessandro Cortesi op – Commento al Vangelo di domenica 15 Maggio 2022

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p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

“In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni»”.  Restare saldi nella fede: è la fatica della prima comunità e delle comunità di ogni tempo. C’è una difficoltà da affrontare: nella prova, nello sperimentare senso di inutilità, nel fallimento, nelle ingiuste opposizioni e incomprensioni. Paolo e Barnaba confermano i discepoli. Ricordano loro che il cammino nel seguire Gesù non toglie dalla tribolazione. Il percorso della fede non è garanzia di tranquillità, ma passa per l’esperienza della prova. Nel racconto del viaggio è marcata l’insistenza sull’affidamento alla grazia di Dio, sul senso di fiducia nel Signore. “di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto”.  La grazia dono del Risorto apre nuove strade e chiede una disponibilità coraggiosa e libera a percorsi inediti, ad aperture che sono risposta alle continue chiamate del Signore, ad andare oltre. L’agire di Dio per mezzo loro si manifesta laddove le porte vengono aperte, laddove si lascia spazio al correre della Parola: “Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede”.

La pagina dell’Apocalisse guida lo sguardo ad una visione di città: verso la nuova Gerusalemme. La città della pace è al centro di quadro segnato da un nuovo cielo e una nuova terra. Il mare – simbolo di ogni forza del male – non c’è più, dice la voce guida di questo testo che non è una fantasia sul futuro ma un testo profetico per vivere con responsabilità nel presente. La città assume i tratti di un volto di donna, gioiosa e sorridente nella festa delle sue nozze. Gerusalemme, la città, appare come donna che va incontro al suo compagno. E’ la gioia dell’alleanza. Tale visione indica un orizzonte finale. E’ lì il punto verso cui la storia tende. Gerusalemme come città è spazio d’incontro e di vita insieme condivisa. La visione profetica  suggerisce che percorso della storia è orientato ad una comunione che è incontro con Dio e con gli altri. Così la città che risplende di luce diviene  immagine di una comunità aperta. Al centro della città, chiamata ‘dimora di Dio con gli uomini’ sta la presenza  del Dio-con-noi. E’ il nome dell’Emmanuele (Mt 1,23; Is 7,14) che richiama la promessa del Risorto, ‘ecco io sono-con-voi tutti i giorni fino alla fine del mondo’ (Mt 28,20).

Le cose di prima sono passate: non c’è più la morte né lutto né lamento né affanno, un nuovo mondo iniziato. Tutto ciò che arreca la guerra, dolore, morte, distruzione è lasciato alle spalle. Gerusalemme è città di pace: l’orizzonte ultimo della storia è incontro nella pace, nella comunione. Gerusalemme è grande metafora della città quale punto finale della storia. Ma è anche riferimento che deve guidare la fedeltà nella prova e nelle contraddizioni del presente, laddove le città sono distrutte dalla violenza della guerra e delle armi, per operare ad aprire i sentieri della pace.

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Alla vigilia della sua morte sulla croce Gesù lascia ai suoi il comandamento nuovo: manifesta la gloria di Dio in modo paradossale sulla croce. In quel luogo di dolore, segno della condanna e dell’infamia si manifesta un amore con tratti unici: ‘avendo amato i suoi … li amò sino alla fine’.  Gesù lascia ai suoi il comandamento che riassume e compie ogni altro, nuovo perché sempre da porre in atto nuovamente: ‘amate come io vi ho amati’. Non chiede di seguire un esempio, ma di trovare in lui la forza di vivere il servizio e la cura con gratuità e di assumere il suo stile. Sarà proprio questo stile, di semplicità e di accoglienza, la tessera di riconoscimento dei discepoli, non altre forme identitarie, abiti particolari o distintivi : ‘da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri’. Vivere così è porre i passi sulle tracce di Gesù, è vivere nel tempo l’esperienza dell’incontro con Dio. Siamo chiamati ad affidarci a lui, ad accogliere innanzitutto questo amore che non tiene per sé ma si spende per gli altri.