La domanda di quel ‘tale’ posta a Gesù “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” potrebbe essere la nostra domanda umana di fronte alla vita: “come vivere una vita autentica?”. “Come giungere alla fine potendo affermare: confesso che ho vissuto?”.
Il ‘tale’ che si presenta a Gesù è persona retta, impegnata, coerente, tuttavia è persona bloccata nelle sue certezze, consapevole di una sua superiorità ma in fondo arido perché qualcosa gli manca. Ha camminato secondo le indicazioni della legge, e di fronte a Gesù esprime una ricerca.
Gesù dapprima gli risponde con altre domande e lo rinvia ai comandamenti. A tal proposito rinvia solamente alle parole che riguardano il rapporto con gli altri, tralasciando quelle riguardanti il rapporto con Dio. Già questo è un indirizzo ad uscire da una mentalità religiosa di autosufficienza. Richiama poi un precetto particolare, non frodare, che non è un comandamento ma è richiamo a dare la giusta paga agli operai. Forse questo ‘tale’ aveva responsabilità verso altri per il lavoro.
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In poche dense parole è delineato lo stile di Gesù davanti a lui: “Fissatolo lo amò…”. Lo guarda scorgendo dentro di lui e gli apre la possibilità di un amore nuovo, la ricerca di quell’uno che gli manca. È l’amore che distoglie dai tanti beni a cui aveva attaccato il cuore. E gli propone: “una cosa sola ti manca…”.
La ‘cosa che manca’ ha a che fare con qualcosa che può fondare la vita, l’essenziale. Ciò che manca è la condivisione. Si può scorgere un accenno alle ricchezze materiali ma anche alle ‘ricchezze di vita’, i beni che occupano il suo cuore e lo trattengono. Gesù scorge in quel volto una ricerca e una bontà, e lo apre ad un pensiero per gli altri.
“Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; e vieni, seguimi”. Indica il farsi solidali con i poveri, l’orizzonte del dono, quale via per entrare in rapporto con lui, per vivere una vita autentica: ‘vieni e seguimi’. È chiamata di Gesù non solo per qualcuno, ma per tutti coloro che s’interrogano su quale direzione dare alla propria esistenza.
Si può vivere trattenendo e rimanendo ripiegati in una logica di possesso e di arricchimento per sé, anche con le migliori intenzioni e nelle realtà più belle, oppure si può vivere la vita nell’apertura all’altro e nel dono. Gesù contesta la proprietà privata intesa come possesso e dice che i beni sono finalizzati all’incontro con gli altri, alla condivisione e a relazioni nuove.
Quel ‘tale’, di cui l’identità rimane anonima, manifesta una profonda tristezza perché nella sua correttezza religiosa era ripiegato su di sé, malato nel cuore nel trattenere i beni per sé stesso senza gli altri: “se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni”. Di più non si dice. Gesù propone uno stile di povertà che significa non essere privi del necessario ma essere liberi dai beni che diventano idoli, da tutti quei legacci che impediscono di sentire la sofferenza dell’altro.
Questa scena nel quadro del vangelo di Marco è indicazione per la comunità dei discepoli a scoprire un rapporto nuovo con le diverse ricchezze, con quanto può occupare l’esistenza al punto da non far più ascoltare la sofferenza dell’altro, al punto da sopire l’apertura a condividere.
“Quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Cammello è forse una corda utilizzata dai marinai o forse il riferimento è ad una porta stretta della città di Gerusalemme detta ‘cruna d’ago’ da cui si passava quando le altre porte erano chiuse. Il messaggio racchiuso in questa immagine mira ad aprire il cuore dei discepoli a vivere un superamento ed una apertura nuova che è passaggio difficile.
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Alla domanda: “e chi mai si può salvare?” Gesù propone un affidamento senza riserve a Dio, trovando in lui la forza per vivere rapporti nuovi sin d’ora. La pretesa di salvarsi con le sole proprie forze e le proprie ricchezze è impossibile: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”: è l’annuncio della salvezza come opera del Dio che precede e ci ha amati. Quello sguardo di Gesù (fissatolo lo amò) è vicinanza dello sguardo dell’Abbà su ogni uomo e donna.
Se la salvezza è possibile solamente a Dio, allora il senso autentico della nostra vita non è esito e ricompensa di sforzi e meriti umani, non viene da un’osservanza religiosa staccata dalla relazione con gli altri, ma è radicalmente dono, è agire gratuito di Dio che ci coinvolge e trasforma la nostra vita suscitando scelte di dono e condivisione.
Salvezza non è un orizzonte futuro ma esperienza sin dal presente di relazioni nuove, di incontri umani in cui Dio viene ad incontrarci.
Per gentile concessione di p. Alessandro – dal suo blog.
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.