“Elia, impaurito… si inoltrò nel deserto per una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire disse: ‘ora basta, Signore! Prendi la mia vita…”
E’ un quadro drammatico della vicenda di Elia, profeta che ha accolto la chiamata di Dio, testimone della sua Parola. Per questo si è trovato ad affrontare l’ostilità dei potentati religiosi, i profeti di Baal, e del potere politico: la regina Gezabele ha deciso di ucciderlo. In fuga nel deserto Elia vive l’esperienza della solitudine e dell’abbandono: ‘basta Signore’.
Possiamo trovare riflessa in queste parole l’esperienza di ognuno che ha posto la sua vita nelle mani del Signore e nel cammino si trova di fronte a difficoltà e prove. Elia sta camminando verso il monte di Dio, l’Oreb, il medesimo percorso di Mosè e del popolo d’Israele nell’uscita dall’Egitto. Sperimenta la durezza del deserto e ripercorre i passi di quel cammino.
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E avverte stanchezza e fallimento. Proprio nel momento della solitudine e dello sconforto Elia scopre che un messaggero di Dio lo invita a prendere pane e acqua e a mangiare. Quel pane è segno della vicinanza di Dio che non abbandona. Quel nutrimento lo fa andare avanti sui passi dell’alleanza. Elia rinnova nella sua esperienza personale l’alleanza e vive un nuovo incontro con Dio.
E’ accompagnato a scoprire la presenza di Dio vicina. Potrà intraprendere il cammino solamente con la forza procuratagli da quel pane e da quell’acqua, dono inatteso e gratuito. Scopre nel suo cammino la presenza di un Dio appassionato e fedele, che gli fa giungere nutrimento quale segno della sua stessa vita. Dio non fa mancare la forza per andare avanti che non viene da buona volontà o da risorse di impegno e di coraggio, ma solamente dalla gratuità dell’amore.
Di fronte al segno del pane Gesù si triva di fronte alla reazione di sospetto propria dei ‘giudei’. Nel IV vangelo ‘giudei’ divengono categoria simbolo di tutti coloro che si dispongono in modo ostile di fronte a Gesù rifiutandolo. Essi mormorano: “perchè aveva detto: io sono il pane disceso dal cielo. E dicevano: ‘costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: sono disceso dal cielo?’”.
Gesù non reagisce ma invita ad ascoltare il Padre e a credere in lui: ‘nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato’. I ‘giudei’ non accettano che Dio possa farsi vicino, fino al punto di condividere fino in fondo la vita. Gesù propone uno stile diverso: vive l’affidamento, il credere, il rendersi disponibile. Solo il Padre può attirare: il volto di Dio è sorprendente, scardina ogni schema umano.
L’incontro con Dio si fa presente nell’incontro con la sua umanità, nel lasciarsi nutrire da lui: “Io sono il pane vivo”. Pane vivente è un’esistenza spezzata e condivisa. Gesù propone il segno del pane ad indicare la sua stessa vita, la sua carne per la vita del mondo. “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Il pane, accostato alla carne, conduce a pensare all’esistenza fragile di Gesù nella sua umanità solidale: “e il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi”. Gesù è testimone del volto di un Dio vicino. L’umanità viene ad essere la storia di Dio.
Via per incontrare Dio è accogliere la sua parola nell’esistenza dell’umanità, dell’umanità fragile e ferita. Il dono del pane rinvia all’esistenza stessa di Gesù solidale fino in fondo con questa umanità. Gesù ha fatto della propria vita un dono ‘per la vita del mondo’.
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Per gentile concessione di p. Alessandro – dal suo blog.
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.