La parabola dei due figli a cui è rivolto l’invito a lavorare nella vigna parla di un cammino che si connota innanzitutto come un movimento interiore, di disponibilità e apertura di fronte ad un invito. I due figli rispondono in modo diverso al padre che a loro si rivolge e indica la vigna, simbolo ricco di evocazioni in rapporto all’esperienza e alla memoria del suo essere simbolo del popolo d’Israele.
Matteo presenta così il contrapporsi di due atteggiamenti: il primo risponde ‘sì’, ma poi non va, il secondo invece dapprima dice ‘no’ e poi invece si mette in cammino, anche lui diviene qualcuno che va, che cammina. Nel suo vangelo ritorna con insistenza il richiamo a seguire Gesù non in un culto fatto di parole ed esteriorità, ma nel compiere la volontà del Padre: “Non chiunque mi dice Signore Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli… chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica è simile ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7,21-24).
Ascoltare e ‘fare’ la parola del Padre è la via da seguire. L’immagine della casa sulla roccia esprime l’elogio della concretezza: ascoltare la parola e compierla nelle scelte della vita è il cammino del credente. A fronte di chi intende la religiosità come uno slancio sentimentale magari momentaneo o come uno sforzo di elaborazione di idee senza ricadute sulla vita, Gesù richiama l’esperienza forte di chi si pente e si mette in cammino, di chi vive un autentico cambiamento e si lascia provocare da una parola che chiede coinvolgimento nell’andare e la fatica del lavoro nella vigna.
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Presenta così una critica ad una religione dell’ipocrisia e della superficialità. Richiama anche a prendere posizione sinceramente di fronte alla parola di Dio. Ci chiede di essere vigili nel cogliere i movimenti profondi e segreti dei cuori, nel non fermarsi a giudicare dalle apparenze.
Ma oltre a tutto questo Gesù propone un’altra prospettiva che riguarda il volto di Dio: con la sua venuta e la sua chiamata rivolta a tutti, senza esclusioni, c’è la possibilità per tutti di accogliere un invito che si fa presente nella vita ad entrare nel regno attuando una decisione. Per questo – egli dice – ‘i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio’. I vangeli attestano l’esperienza storica dell’incontro di Gesù con tanti che di fronte al suo sguardo si sono aperti ad un futuro nuovo. In lui hanno incontrato speranza e vita nuova, da lui hanno ricevuto fiducia nella possibilità di ricominciare. In lui pubblicani e prostitute, esclusi e tenuti ai margini, considerati fuori dalla salvezza e lontani da Dio, hanno fatto esperienza di essere accolti, compresi della misericordia che apre la nostalgia e l’impegno per una vita nuova.
C’è una conversione a cui siamo chiamati, ed è un cammino che non ha conclusione. Si attua nel dire sì e nel compiere concretamente la volontà del Padre. Convertirsi è passare ad un modo nuovo di pensare a Dio e scoprire il suo sguardo di amore su di sé.
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La vera conversione sta nel credere e nell’affidarsi ad una offerta di vita che va oltre i nostri pensieri e le stesse speranze: ‘i pubblicani e le prostitute hanno creduto alla predicazione di Giovanni – dice Gesù – voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli’. Giovanni è il profeta che trova rifiuto da coloro che erano impegnati dal punto di vista religioso ed invece trova accoglienza in chi viveva lontano da Dio. Matteo legge in questo movimento l’apertura di una comunità che non deve ripiegarsi su se stessa, ma inviata ad essere luogo di accoglienza e incontro.
La predicazione di Giovanni fu una predicazione sulla via della giustizia: chiamava ad un movimento, ad un cambiare direzione e mentalità, per mettersi in cammino in modo nuovo. Gesù indica una via di misericordia e chiede di seguirlo in questo cammino.
“Il virtuoso e la canaglia, il mendicante e il principe: a tutti si rivolge con la stessa voce solare, come se non ci fosse né virtuoso né canaglia, né mendicante, né principe, ma solo, ogni volta, due esseri viventi faccia a faccia, e in mezzo ai due la parola, che va che viene (…) O ci si separa da quest’uomo su questo punto, e si fa di lui un sapiente come ce ne sono stati migliaia, pronti magari ad accordargli un titolo di principe. Oppure lo si segue, e si è votati al silenzio, perché tutto ciò che si potrebbe dire è allora inudibile e folle… L’uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire persino la morte” (C.Bobin, L’uomo che cammina, 16.29).
Fonte: il sito di don Alessandro Cortesi
p. Alessandro Cortesi op
Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.