Omelia di S.Em.za Card. Angelo Bagnasco nell’ambito dei lavori della 70ª Assemblea Generale (22-25 maggio 2017) – Basilica di San Pietro, 24 maggio 2017
Insieme andare al largo
Cari Confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato
Cari Fratelli e sorelle nel Signore
1. È sempre motivo di gioia celebrare l’Eucaristia nella Basilica di san Pietro, dove la presenza del Successore del Principe degli Apostoli è particolarmente viva. Ed è motivo di gioia celebrare insieme: portiamo nella preghiera i nostri preti e le comunità di cui conosciamo fatiche, preoccupazioni e speranze. E’ questo il primo atto di quella “carità pastorale” che prende la sua forma più alta ed efficace nel portare tutto e tutti nel sacrificio di Cristo.
L’Apostolo Paolo, nel libro degli Atti, ci dona un esempio, quasi un paradigma della nostra missione di araldi e maestri del Vangelo. L’episodio è noto, e siamo certi di indovinare l’amarezza di Paolo nell’essere rifiutato proprio nel cuore della predicazione cristiana. Ma tutto ci ammaestra.
[ads2]2. Mi piace vedere l’Apostolo come in mezzo a un mare vasto, esposto ad ogni vento, dove l’impresa appare difficile e forse impossibile. Atene – città cosmopolita – è attraversata da diverse culture e sensibilità, da costumi molteplici e dalle più disparate aspettative. Ma Paolo, recandosi all’ Areopago, si spinge al largo e confida. Non si lascia intimidire: sa che la sua missione è predicare a tutti senza cercare di compiacere: non cerca il consenso e il plauso, è fedele alla verità ricevuta. Il resto è di Dio. Tiene conto della situazione concreta dell’uditorio non per blandire gli uditori, ma per trovare l’appiglio, il punto di partenza. E lo trova nell’ara con l’iscrizione “al dio ignoto”. Riconosce la religiosità diffusa anche se confusa di quegli ascoltatori incuriositi o annoiati che lo ascoltano. E da quel punto parte per delineare alcuni tratti del Dio dell’universo: egli è il creatore, la vita, la libertà. E’ trascendente e vicino, è vicino ma non banale; è una vicinanza che si fa addirittura compagnia, anzi ci entra dentro in modo unico, poiché “in lui viviamo, ci muoviamo, esistiamo”! Ad ogni frase, la sua voce aumenta, come una vela al largo gonfiata dal vento, e
l’orizzonte si allarga a dismisura, ma nello stesso tempo non si allontana dall’esistenza anzi l’abbraccia, e dona una prospettiva che vince ogni solitudine e disperazione.
3. Nel secondo passaggio, l’Apostolo entra decisamente nella storia della salvezza, aprendo così una prospettiva inaudita: la storia non nasce con noi, ci precede e ci genera. Non è una prigione, ci garantisce da tortuosità presuntuose e incerte. In questa storia, dove Dio é presente, l’uomo trova senso e speranza: anche il male e la sofferenza trovano misteriosamente uno sbocco. Il misterium iniquitatis – conosciuto dall’umanità di ogni tempo – vede uno spiraglio di luce. L’umanità non cammina nel buio assoluto: la luce di Dio penetra nella notte come da una finestra aperta. Ma – ecco il terzo passaggio – lo sguardo sulla creazione e sull’abbraccio universale di Dio, hanno il loro compimento nel Verbo Eterno, Colui che è risuscitato dai morti. E’, evidentemente, la parola più forte, decisiva e rischiosa per il predicatore: e il fallimento è immediato e bruciante, accompagnato dall’ironia!
4. Cari Amici, non troviamo descritto anche il nostro tempo, la nostra condizione di missionari del Vangelo? L’Italia è lunga, come si dice, ed è vero, ma ciononostante troviamo non piccole somiglianze, tratti che sono di ogni tempo e di ogni luogo. Il Santo Padre ci invita a stare vicini alla nostra gente e, nello stesso tempo, a prendere il largo della missione, a riconoscere il bene ovunque senza confondere mai la parte con il tutto, a non lasciarci ridurre al silenzio, ad annunciare che Gesù è il Signore. Ci esorta a predicare il suo amore misericordioso, a proclamare la follia della croce che salva, a non temere lo scherno apostolico, ricordando che il grande protagonista è sempre lo Spirito Santo che ha i suoi tempi e le sue vie, e che conduce alla verità piena. Cristo ci ha chiamati ad una missione esaltante, che si scontra con la nostra piccolezza: aiutare i fratelli a intraprendere i sentieri della gioia evangelica. Ci ha chiamati a riconoscere il Risorto: Gesù è venuto a noi come un uomo che viene da lontano, i cui passi appena appena si sentono. Questi passi si fanno poi più sicuri, finché non si comprende che essi sono la sua presenza. Ed è gioia! Questa attenzione, fatta di desiderio, la dobbiamo tenere desta nel nostro cuore, nel cuore del nostro clero e delle comunità: è un desiderio che spera contro ogni apparenza; che tiene spiegata la vela anche quando i venti sono contrari, e ci sembra di essere avvolti dal sonno del Risorto. Ma il Signore è sempre con noi, vuole solo che ci fidiamo di Lui: “Perché temete, uomini di poca fede?”.
5. Tornano alla memoria le parole di sant’Agostino: “Voi seminate nelle lacrime, voi raccogliete nella gioia. Come avviene questo, fratelli miei? Quando l’agricoltore passa con l’aratro e getta il seme, talvolta il vento è glaciale, la pioggia l’ostacola. Egli scruta il cielo, lo vede oscuro, trema di freddo ma, ciononostante, intraprende la semina”. Anche noi andiamo avanti, coscienti che solo la certezza di compiere l’opera di Dio ci sostiene, e sapendo che nell’intimo delle anime esiste una singolare attesa, un bisogno di luce e di speranza, una voglia inconscia di verità e di bene. Sapendo che per essere scintille di gioia dobbiamo vivere davanti al roveto ardente che è Cristo; che per amare con il cuore di Dio è necessario lasciarci amare da Lui, e che lasciarci amare è così difficile, poiché si tratta di arrenderci senza condizioni! Cristo ci ha chiamati d essere dei ceri accesi, la cui vita si esprime in una fiamma d’amore e di servizio.
6. Cari Amici, grazie per avermi permesso di presiedere questa Eucaristia: è un grande dono. E grazie per l’esempio, la parola saggia, l’amore alla Chiesa, che in questi dieci anni ho sempre visto in tutti e in ciascuno. Come ho già detto, è stato per me un grande onore e una grande grazia poter servire – come meglio ho saputo – la nostra Conferenza che ha il dono di un legame unico con il Vescovo di Roma, il Papa. Insieme abbiamo servito le nostre Chiese e il nostro amato Paese. Come sempre, ci affidiamo alla Vergine Maria, la grande Madre di Dio e della Chiesa.