Omelia di S.E. Mons. Edgar Peña Parra durante la Messa all’Università Cattolica del Sacro Cuore – 31 Gennaio 2019

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Di seguito l’omelia che il Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, S.E. Mons. Edgar Peña Parra, ha pronunciato questa mattina nel corso della Santa Messa per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Foto: @unicatt

Omelia

Cari fratelli e sorelle,

ci troviamo intorno alla Mensa eucaristica, per l’inaugurazione dell’anno accademico di questo Ateneo cattolico. Vogliamo invocare la divina assistenza sugli alunni, per i quali il nuovo anno accademico segnerà una tappa della fase decisiva di formazione scientifica e professionale; sui docenti chiamati a una rinnovata dedizione nel delicato ruolo formativo delle nuove generazioni. Ho accolto volentieri l’invito a presiedere questa Santa Messa e sono lieto di formulare ai presenti il mio cordiale saluto. In particolare, rivolgo il mio pensiero anzitutto al Rettore prof. Franco Anelli, al corpo accademico, al caro Mons. Claudio Giuliodori, assistente generale e ai sacerdoti suoi collaboratori. Saluto, altresì, con deferenza le altre autorità qui convenute.

L’odierna pagina evangelica (Mc 4,21-25) illumina questa nostra celebrazione, come anche il cammino culturale e spirituale che l’Università Cattolica sta percorrendo in questo nuovo anno accademico.

Gesù, dopo aver detto agli apostoli di aver affidato loro il mistero del Regno di Dio, lo paragona ad una lampada. E come questa non va messa sotto il moggio o sotto il letto, ma ben visibile sul candelabro affinché possa fare luce, così essi non devono tenere nascosto il mistero del Regno di Dio, cioè custodirlo solo per loro stessi, come se fossero un gruppo di eletti. Quel mistero andava certo penetrato e compreso con tutto l’impegno della loro intelligenza, ma al tempo stesso gli apostoli erano chiamati a manifestarlo a tutti, diffondendolo ampiamente fino agli estremi confini della terra. Ammonisce infatti Gesù: «Non vi è nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce» (v.22)

Ed è proprio quello che Gesù ha fatto per primo. Dal momento in cui lasciò Nazareth, ha iniziato la sua predicazione pubblica, percorrendo le strade della Galilea. Lo scopo della sua missione era quello di comunicare a tutti la vicinanza del Regno di Dio, ossia l’amore del Padre per tutti e particolarmente per i più poveri. Vedendo il divino Maestro all’opera, la gente percepiva che davvero la luce era venuta nel mondo – come scrive San Giovanni nel Prologo – e non era più “sotto il moggio”, ma splendeva sul candelabro. E le folle se ne sono accorte al punto che da ogni parte accorrevano per essere illuminate, per ricevere una luce che rischiara il buio di una vita spesso triste e difficile.

L’immagine della luce che esiste per illuminare gli altri, e non certo se stessa, descrive bene la vita e la missione di Gesù. Egli è la luce vera che illumina ogni uomo; non è venuto per se stesso, non si è incarnato per realizzare se stesso e neppure per affermare un proprio progetto personale. Gesù è venuto sulla terra per illuminare il cammino degli uomini verso la salvezza. È venuto perché tutti, ascoltando la sua parola, possano percorrere le strade dell’esistenza fino a giungere al cielo. I discepoli che Egli continua a chiamare lungo i secoli, di generazione in generazione, sono invitati a fare altrettanto: ossia a non nascondere la luce del Vangelo che hanno ricevuto, né ad adottare misure strette per comunicare al mondo questa luce.

Ce lo ricorda Egli stesso nel Vangelo di oggi: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi» (v.24). E’ l’invito ad avere un cuore largo e misericordioso come quello del Padre che sta nei cieli. E la generosità di Dio è stata larga con noi: ci ha donato il suo stesso Figlio perché lo accogliessimo e lo facessimo conoscere agli altri. È su una simile generosità che saremo giudicati. Gesù infatti chiarisce ai discepoli: «A chi ha, sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (v.25). L’amore e la generosità, secondo il Vangelo, non sopportano restrizioni e confini: il cuore del credente è universale e aperto a tutti.

Si tratta di rendere una limpida testimonianza cristiana in ogni ambiente nel quale siamo chiamati a vivere e operare. In questo impegno apostolico abbiamo la certezza di essere sorretti dallo Spirito Santo, Colui che guida i discepoli alla pienezza della verità. Ed è quanto mai appropriato tenere presente questa opera dello Spirito nel contesto di una comunità universitaria, dove si snoda quotidianamente il dialogo tra la fede in Cristo e la ricerca scientifica. Quando Gesù parlava agli Apostoli nel Cenacolo, aveva in mente la sua Chiesa che, grazie al dono dello Spirito, sarebbe stata messa in grado di comprendere pienamente il suo messaggio di salvezza. Questo è avvenuto in modo fondamentale e straordinario nella Pentecoste, ma è proseguito poi nella vita ordinaria dei singoli e delle comunità, come pure in altri eventi eccezionali che la Provvidenza ha disposto nel corso dei secoli. Pertanto, per assolvere efficacemente la missione di rendere testimonianza a Gesù e al suo Vangelo, ogni persona, ogni credente e ogni comunità, compresa quella universitaria, deve entrare, per così dire, nel raggio d’azione della Pentecoste e affidarsi costantemente all’azione illuminante dello Spirito di verità.

Oggi, con questa celebrazione liturgica, noi vogliamo inserirci gioiosamente nel “raggio d’azione” di quell’evento, invocando con fede il dono dello Spirito Santo, per intercessione di Maria Santissima, Sede della Sapienza. Lo invochiamo affinché nell’anno che inizia questa comunità universitaria possa vivere pienamente la sua vocazione e missione all’interno della Chiesa e al servizio della sua missione nel mondo. Questa Università si distingue con l’aggettivo di “cattolica”, voluto dal suo fondatore padre Agostino Gemelli, che richiama l’ecclesialità dell’Istituto, cioè la sua collocazione all’interno della missione della Chiesa. Sappiamo bene che la ecclesialità di una comunità non è mai da dare per scontata. Non basta nemmeno il titolo di “cattolica” per garantirla! È un dono che domanda sempre di essere accolto e ravvivato con fede e impegno generoso.

È bello, infatti, riconoscere che ogni generazione di professori e di studenti è chiamata, nell’invocazione e nell’accoglienza dello Spirito Santo, a collaborare affinché l’Università sia ciò che deve essere, cioè “cattolica”. La “cattolicità” della comunità accademica e del lavoro universitario consiste in un impegno appassionato di riflessione sull’intera realtà alla luce del mistero di Cristo, da cui dipende l’elaborazione di una cultura cristiana aperta alla comprensione di tutti. Se Cristo è la verità che illumina, libera e dà senso alla vita, se egli è la risposta completa agli interrogativi profondi e ineliminabili dell’uomo, la verità che è Cristo, proprio nelle Università Cattoliche deve farsi luce per gli altri, per il mondo. E questo è ben diverso da un’etichetta data ad una istituzione una volta per tutte, né può essere compito soltanto di un vertice accademico o dei responsabili della pastorale universitaria, ma è un dono e un impegno che chiama in causa la disponibilità e la docilità di tutti all’azione dello Spirito.

Invochiamo, pertanto, sull’anno che inizia la luce dello Spirito Santo, perché illumini e guidi la vostra ricerca e il vostro quotidiano impegno scolastico.