In morte di Luana
E’ una lunga, lunghissima litania quella dei morti sul lavoro. E’ una litania che si allunga ogni giorno senza arrestarsi. Due, tre vittime al giorno. Qualcosa di inaudito. Di inaccettabile.
Ora siamo qui attorno al corpo straziato di Luana. La sua storia ha commosso l’intero paese. Ma il suo corpo straziato è qui a nome di tutti gli altri corpi straziati ogni giorno sui luoghi di lavoro. Viviamo purtroppo in un mondo in balia delle emozioni che si accendono e si spengono in un attimo; in un mondo che vive sull’onda dell’immediato, condizionato spesso dai mezzi di comunicazione. E tutti siamo subito distratti da mille altre cose che facilmente finiscono per giustificare la nostra inerzia.
Luana e tutti gli altri, oggi però stanno qui, in piedi davanti a noi: ci guardano, ci osservano e ci chiedono conto: ci dicono che non bastano le emozioni forti, non basta che ci commuoviamo per un momento: occorrono impegno e responsabilità, concretezza, determinazione e scelte coraggiose; occorre che le cose cambino.
Dio, per parte sua, sa compensare oltre ogni misura tutte le vittime innocenti della storia, quelle che la storia fatta dagli uomini produce in misura enorme. Dio sa come dare pienezza di vita a chi non è riuscito ad averla quaggiù sulla terra. Sa come soddisfare i sogni più belli che ogni vittima innocente porta nel cuore e che anche Luana portava dentro di sé. Lui sa asciugare le lacrime, curare le ferite, colmare con il suo infinito amore ogni vuoto. Lo abbiamo ascoltato poco fa dal libro dell’Apocalisse: abbiamo ascoltato la promessa di cieli nuovi e terra nuova in cui abita la giustizia; la promessa di una città santa tutta splendore di bellezza, dove “Egli asciugherà ogni lacrima e dove non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate”.
Ma ciò che Dio promette e compie, non ci esime dal prendere oggi qui le nostre responsabilità, davanti ai nostri fratelli e alle nostre sorelle morte sul lavoro. Anzi: Dio stesso insieme ai nostri fratelli morti, ci chiede di rendere questa la terra migliore, ogni giorno di più. E finchè non ci saremo riusciti, non abbiamo il diritto di riposarci. La certezza dei cieli nuovi e delle terre nuove promessi da Dio, ci spinge con forza a fare nuovi i cieli e la terra che abitiamo nella storia.
Allora ci dobbiamo lasciare inquitare dallo sguardo di tutti i morti sul lavoro, da quegli occhi che oggi ci fissano. Vorremmo abbassare i nostri, per la vergogna. Non possiamo farlo. Dobbiamo lasciarci guardare. Non ci guardano con odio e risentimento ma, nonostante tutto, con amore. Il loro sguardo è supplica, accorata supplica, insistenza, stimolo, pressione esigente perché non capiti più quello che è accaduto a loro; perchè cambiamo il nostro modo di vivere e di organizzare la società.
La nostra società, il nostro mondo infatti, così com’è oggi, non va. Se non c’è lavoro e lavoro per tutti, vuol dire che le cose non vanno bene. E’ inutile girarci intorno. Se il lavoro non è dignitoso, rispettoso della dignità della persona umana, se non è libero, creativo, partecipativo e solidale e adeguatamente remunerato, la società non è buona. Soprattutto se ancora oggi, nel 2021, si muore sul lavoro con la frequenza che registriamo, proprio no: qualcosa non va, molto non va. Le cose devono cambiare. Aldilà di ogni schieramento politico. Dobbiamo cambiare questo inaccettabile stato di cose!
L’odierna celebrazione è certamente innanzitutto acccompagnamento alle porte del cielo della nostra carissima Luana; sostegno e conforto nella fede per la sua famiglia e il suo piccolo bambino. Col pianto nel cuore ma con tanta fiducia nel Signore, ci stringiamo attorno alle spoglie mortali di Luana per accompagnarla alle porte di quella Gerusalemme celeste che è la nostra vera patria. Queste esequie sono la celebrazione della Pasqua del Signore, di colui che ha detto “io sono la risurrezione e la vita”.
Nello stesso tempo però queste esequie non possono non essere anche una corale richiesta di perdono a Luana, a tutti i morti sul lavoro e a Dio stesso. Non possiamo non chiedere perdono, sinceramente, dal profondo del cuore per questa come per tutte le altre morti. Perché queste cose non dovevano succedere. E se sono successe, la responsabilità, in qualche modo è di tutti. Forse in misura diversa e per questo giustamente la magistratura deve fare il suo corso. Ma tutti quanti portiamo il peso di queste morti ingiuste, indegne, delittuose.
Chiedere perdono non è mai un gesto facile e a buon mercato. Per essere sincero, deve produrre conversione, cambiamento di vita e di prassi, rinnovamento della vita sociale, perché queste morti non capitino più. E’ necessario acquisire da parte di tutti, una mentalità, uno stile di vita nuovo: cioè una cultura della solidarietà, della cura, del primato del bene comune su quello individuale. E’ necessario un cambiamento culturale che anche questa triste pandemia ci dovrebbe aiutare a fare, quando abbiamo sperimentato l’importanza di prendersi cura l’uno dell’altro, unica via per risolvere i nostri problemi. Prendersi cura l’uno dell’altro, considerare l’altro una persona con una dignità inalienabile e intaccabile, mai un mezzo, mai un oggetto, mai uno strumento; mettersi al servizio del bene comune e impiegare risorse per far questo, nella convinzione che a rendere la società migliore, più umana, non ci si rimette ma ci si guadagna tutti: ebbene, questa è la cultura di cui abbiamo bisogno sia nel privato come nel pubblico.
E qui ecco allora la straordinaria forza delle parole evangeliche ascoltate poco fa: avevo fame, avevo sete, ero nudo, malato, straniero, dice il Signore e mi siete venuti incontro. Avevo fame, sete, ero nudo, malato, straniero e vi siete invece voltati dall’altra parte. Sull’attenzione all’altro si compie il giudizio finale di Dio sull’intera storia umana. Questa pagina evangelica non è un manuale di buone maniere. Non è un invito generico a fare un po’ di bene. Non è nemmeno una parola per i soli credenti. No. E’ una parola per tutta l’umanità, per il mondo e per la coscienza di ogni uomo. E’ una parola per il rinnovamento profondo dell’umanità. E’ un manifesto di rivoluzione culturale e sociale. Sono parole che se messe in pratica in ogni ambito della vita, renderebbero impossibili le morti che ora piangiamo.
Lasciamoci così allora oggi. Con queste parole che risuonano forti dentro di noi e che ci spingono all’impegno. Non aggiungiamone altre. Sono le parole di Cristo per noi. Ma sono anche le parole per noi di Luana e di tutti coloro che sono morti sul lavoro.
Monsignor Fausto Tardelli, Vescovo di Pistoia – Fonte