Città adorata e desiderata, pietra dello scandalo, segno di contraddizione. Gerusalemme, che le tre grandi fedi proclamano concordi Città Santa, facendone scaturire una contesa millenaria, un odio profondo, e dove oggi la fede religiosa si fa gadget e l’orma di Dio si perde tra i passi della gente indifferente. Mèta degli ebrei di tutto il mondo, ma anche di pellegrini cristiani e musulmani, tutti la visitano, fra preti, botteghe, devoti e bazar. Franco Cardini la conosce profondamente e ci guida in una passeggiata che serva da viatico a chi ha solo un giorno per vederla o a chi è venuto per trascorrervi tutta la vita. E per noi dipana il filo della storia incrociando di continuo gli spazi, i tempi – dal cammino del Cristo verso il Golgota fino alla Porta di Giaffa e al Santo Sepolcro, dalla Valle di Josaphat al Monte degli Olivi, dal Muro del Pianto fino alle discoteche di oggi – e allineando eventi ed immagini di ieri e di oggi, alla ricerca dello spirito di questa città-mistero.
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21/11/2012 – Toscana Oggi – articolo di Lorella Pellis
Che cos’è Gerusalemme? Una grande città, che il governo israeliano ha proclamato sua capitale «eterna e indivisibile» ma che le Nazioni Unite considerano ancora per metà palestinese. Una grande metropoli cosmopolita moderna, affascinante, tra il mediorientale, l’americano e il mitteleuropeo, con un traffico caotico alla mediterranea gestito da una polizia d’inflessibilità germanica: una città alta quasi ottocento metri sul livello del mare (per un paio di mesi all’anno ci si gela) e abitata da quasi 800.000 persone fra ebrei – in crescita – ed arabi – in calo –, con presenze religiose complesse tra ebraiche, musulmane (soprattutto sunnite) e cristiane di varia confessione (in caduta libera).
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Una città bellissima, nella quale hanno lavorato i più prestigiosi architetti del mondo. Il candido ponte di Calatrava, che ne domina l’accesso occidentale, mozza il fiato. E quartieri eleganti, e grandi alberghi, e splendidi giardini. Ma, proprio nel mezzo di Megalopoli, ecco il misterioso cuore antico: un dedalo di strette viuzze orientali in un quadrato di mura di pietra rosata dalla quale emergono campanili, minareti, cupole d’oro; e, ad est, la ferita profonda della Valle di Josafat piena di chiese e di cimiteri che la separa dal monte degli Olivi.
Dentro, ci vivono accatastati una cinquantina di migliaia di arabi e di ebrei oltre a un certo numero di religiosi, anche cattolici (molti dei quali italiani). L’equilibrio è delicato, fragile: la gioia di vivere dei mercati e delle botteghe dove si mangiano dolci e si beve tè e si è tutti amici, anche i vecchi arabi in keffyyeh e gli ashkenaziti osservanti dagli abiti neri e dai tefileh ben in vista, può esser turbata da un momento all’altro: basta una notizia che arriva dalla «spianata del Tempio», dalle grandi moschee, e quel paradiso per turisti e per cercatori di Dio si trasforma in un inferno di guerriglia urbana.
Gerusalemme, la Santa. La Città di David, per gli ebrei; quella dov’è nata Maria ed è morto e risorto il Signore, per i cristiani; quella dalla quale in un’arcana notte il Profeta Muhammad è stato portato in volo fino all’alto dei cieli, per i musulmani.
Ma è anche una città terribile: fondata a quel che pare circa cinquemila anni fa e più, e da allora si può dire quasi mai in pace; conquistata più di tremila anni or sono dagli ebrei, e quindi dagli assiri, dai babilonesi, dai grecosiriani, dai romani, dai persiani, dagli arabi, dai crociati, dai turco-arabi del Saladino, dai turco-ottomani del sultano Selim I, dagli inglesi del generale Allenby, dai transgiordani di re Abdullah, dagli israeliani. Sono in troppi a volerla: e ciò perché sono in troppi ad amarla. Ma è possibile che da tanto amore scaturisca una colata così incandescente e continua d’odio?
Franco Cardini, medievista di fama internazionale, conosce bene Gerusalemme. Quando vi è approdato la prima volta a trentasei anni, nel 1977, la studiava già da circa un quindicennio come città protagonista delle sue ricerche sui pellegrinaggi e le crociate; ora, dà la netta impressione (…però sbagliata, dice lui…) di conoscerla come le sue tasche. Ci è andato ormai un numero di volte e ha soggiornato un numero di settimane e di mesi di cui ha perso il conto. Notoriamente nomade – i suoi studenti lo inseguono per mezzo mondo –, e nonostante la sua inarginabile fiorentinità, se c’è una città che egli può dir «sua» è proprio Gerusalemme. Più di Firenze? Chissà. Certo, ama dire della bella sinagoga di Via Farini che «starebbe bene a Gerusalemme»; e ci tiene a ricordare che a Gerusalemme, un po’ a nord della fatidica Porta di Damasco, al principio del Novecento due geniacci d’architetti romani, Giulio e Antonio Barluzzi, incaricati di costruire un ospedale per la colonia italiana riprodussero in miniatura il Palazzo Vecchio (e ancor oggi una «torre d’Arnolfo» appena un po’ più piccola dell’originale saluta gli stupefatti turisti e pellegrini che da Firenze arrivano nella Città Santa).
Il nuovo libro di Franco Cardini, Gerusalemme. Una storia (Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 311, euro 16), è un tentativo abbastanza sui generis non solo di narrare in ampia sintesi la storia di una città, ma anche di mostrarla dall’interno, di coglierne lo «spirito». Un libro personalissimo, quindi: che non a caso comincia con il divertente racconto autobiografico di un giovane professore che nella Città Santa metteva piede per la prima volta (ma che l’aveva a lungo studiata sui libri e sulle mappe, sulle immagini e sulle foto, oltre che sognata e desiderata) e che inopinatamente si trovò a far da guida nel dedalo della città vecchia a una cinquantina di illustrissimi accademici, gente come Paolo Alatri, Giuliano Procacci e Rosario Villari.
Da quell’episodio si snoda una «storia» di Gerusalemme che parla di preghiera, di battaglie, di monumenti ma anche di vita cittadina e perfino di episodi privati, magari con qualche pennellata che va dal sentimentale all’enogastronomico. Una storia piena di altre storie: di conquistatori, di filosofi, di pensatori, di pellegrini, di turisti, di avventurieri, di donne, di frati, di rabbini, di gente comune. E una città che si può visitare secondo itinerari labirintici, ricchi di valenze simboliche eppure estremamente concreti e praticabili. Un libro di storia, una guida turistica, un saggio autobiografico? L’Autore, interrogato, si stringe nelle spalle. In fondo, un libro, quando riesce è quello che il lettore vuole che sia.